Dalma, unica non contagiata nell'ospizio-lazzaretto: «Sono la regina senza corona nell’inferno di Cingoli»

Adalma Sbergamo
CINGOLI - E’ riuscita a tenere lontano per tutto il periodo dell’emergenza (ovvero per oltre due mesi) il Covid e ancora oggi è negativa al coronavirus. Ci...

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CINGOLI - E’ riuscita a tenere lontano per tutto il periodo dell’emergenza (ovvero per oltre due mesi) il Covid e ancora oggi è negativa al coronavirus. Ci è riuscita nonostante attorno a sé, nella casa di riposo di Cingoli, dove vive da meno di un paio d’anni, tutti gli altri ospiti sono stati mano a mano contagiati dalla malattia. Tutti tranne che lei, appunto. Trentanove su quaranta. Ha visto il dolore, la sofferenza e anche parecchi morti (dieci) purtroppo dentro quella struttura che per due mesi si è trasformata in un ospedale di frontiera, dove sono arrivati anche medici e personale della Marina per aiutare nella cura e nell’assistenza agli anziani colpiti dal Covid. Ma lei ha attraversato la tempesta senza contraccolpi. Ma non ditele che è stato un miracolo altrimenti si arrabbia. 

«Sono riuscita ad essere attenta e vigile – commenta la 77enne Adalma Sbergamo, conosciuta a Cingoli come Dalma, ex barista del Bar Duomo e già infermiera al Carlo Urbani di Jesi e all’ospedale di Cingoli –. Non riconoscevo i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari tutti bardati con quelle tute e quei dispositivi. Sembravano alieni intorno a mare! Ma non ho mai abbassato la guardia. Devo ringraziare quanti mi hanno telefonato, dai miei parenti ai conoscenti. Con tutti loro c’è stato un continuo scambio reciproco di sostegno e di conforto. Tante e lunghe chiacchierate che a volte mi stancavano ma ero anche curiosa di sapere quello che stava accadendo. Questo mi ha aiutato a resistere. Ma soprattutto il fatto di avere una camera singola tutta per me con una poltrona che amo tanto, dove mi sprofondavo e mi permetteva di vedere comodamente la televisione. Ho sempre preferito rimanere nella mia cameretta che stare con gli altri ospiti». E ancora: «Ho capito subito che la situazione si stava facendo grave, fin dai primi casi, anche grazie alla mia esperienza infermieristica - continua Dalma – Poi una volta che siamo stati sottoposti al tampone e sono risultata via via l’unica negativa, insieme ai miei parenti ho scelto di restare all’interno della struttura, nella convinzione che sarebbero state maggiori le incognite e le difficoltà se fossi tornata nella mia abitazione seppure in compagnia di una badante. E’ stata una scelta difficile e dura, ma che si è rivelata quella giusta. Mi dicevano ogni giorno ero trattata come una regina, perché ero la prima ad essere visitata e accudita – continua l’ex infermiera – Ed io rispondevo “Sì, regina, ma senza corona”. Sono stata tra i primi ospiti ad essere trasferita al nosocomio di Cingoli, prima al piano terra e poi nei giorni successivi in quello inferiore. Il trasferimento all’ospedale mi ha creato qualche problema risentendo di questi spostamenti e del cambiamento repentino delle mie abitudini. Più che tutta la situazione pregressa mi mancavano la poltrona e la cucina della casa di riposo».

Dalma ha anche qualcos’altro da raccontare. «Al tempo della spagnola una mia nonna era stata l’unica a non essere contagiata - racconta la donna - nonostante andasse di casa in casa a Capo di Rio (frazione di Cingoli) ad accudire i vicini ammalati. Su questa sorta di immunità genetica c’è un fondamento scientifico? - si chiede anticipando la domanda dell’interlocutore - Credo di no. E’ molto più vero che a contribuire alla mia salvezza siano stati esclusivamente la mia sistemazione in una camera singola, il frequentare poco i locali comuni prima dell’emergenza e le parole di conforto dei miei parenti. Poi ci ho messo tanto del mio: sono rimasta sempre lucida e attenta. Tutto questo insieme alla professionalità degli operatori sanitari da quando è esplosa l’emergenza». Sono quasi due mesi e mezzo che tutti parlano della casa di riposo di Cingoli, riferendo di una sola donna non contagiata tra i quaranta ospiti della struttura, dieci dei quali purtroppo nel frattempo deceduti: questa donna è proprio lei, la signora Adalma. Che non vede l’ora, passata la bufera, di tornare alla sua quotidianità, di sprofondarsi ancora in quella morbida, avvolgente poltrona che ama tanto. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico