Rigopiano, lo sfogo di Gianluca Tanda: «Dal ponte Morandi al Vajont, i comitati si mobiliteranno con noi»

Rigopiano, lo sfogo di Gianluca Tanda «Siamo nello sconforto più totale ma vogliamo credere nella giustizia»
MACERATA - Gianluca Tanda, fratello di Marco - una delle vittime di Rigopiano - e presidente del comitato delle famiglie, il giorno dopo la sentenza-beffa, è passata la...

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MACERATA - Gianluca Tanda, fratello di Marco - una delle vittime di Rigopiano - e presidente del comitato delle famiglie, il giorno dopo la sentenza-beffa, è passata la rabbia o non passerà fino a un eventuale verdetto d’appello più favorevole? 


«Ora c’è la delusione. Ci siamo sentiti con diversi esponenti del comitato e siamo nello sconforto più totale, ma dopo i primi minuti di chiacchierata la volontà è la stessa per tutti: andare avanti».

 
Avete ricevuto messaggi di incoraggiamento?


«Siamo stati contattati dai comitati nati dopo il ponte Morandi, il Vajont, San Giuliano di Puglia. Si stanno mobilitando per noi, manifesteremo con forza. Sin dall’inizio sapevamo la difficoltà del processo perché lo Stato è chiamato a giudicare se stesso. Sapevamo che poteva andare così, ma ora dobbiamo rimboccarci le maniche».


Il messaggio che l’ha colpita di più?


«Quello del genitore di un bambino morto a San Giuliano di Puglia, mi ha detto: “È successo anche a noi in primo grado, ma poi le condanne sono arrivate. Non vi demoralizzate”».


La sentenza è stata accolta anche con insulti pesanti e minacce al giudice. Difficile immaginarsi reazioni più composte, viste le aspettative maturate in questi anni.


«Siamo un comitato rispettoso delle regole e anche degli imputati. Non abbiamo mai manifestato contro di loro. Due persone hanno perso le staffe, non condividiamo gli insulti, ma la reazione è comprensibile». 


Crede ancora nella giustizia?


«Sì, e non sarà questa sentenza a farmi cambiare idea». 


Cosa significa questa sentenza?
«Insicurezza. Ognuno di noi continuerà ad avere paura di percorrere una strada, una galleria, dormire a casa, andare a scuola. Bisogna cambiare atteggiamento nei confronti dei lavori, delle regole, delle manutenzioni». 


Da una richiesta di condanne della Procura per 150 anni a una sentenza che assolve 25 dei 30 imputati e infligge pene per 10 anni e 4 mesi. Vi siete dati una prima spiegazione con i vostri avvocati? 


«No, abbiamo pianto insieme. Noi non cerchiamo il colpevole a tutti i costi, ma i veri responsabili di questa strage». 


Ha delle recriminazioni?


«Quella più forte è la telefonata che cinque ore prima della valanga, il cameriere Gabriele D’Angelo (uno dei 29 rimasti uccisi dalla slavina) fece a Pescara: ma nessuno prese in carico la richiesta di aiuto. Quella conversazione non è agli atti. Se ci fosse stata, forse il peso di questa sentenza sarebbe cambiato».


Un albergo spazzato via da una valanga, sulle pendici del Gran Sasso, e tutto sembra risolversi a una responsabilità di chi non ha liberato la strada dalla neve e del sindaco che non ha emesso un’ordinanza di sgombero. Non le sembrava una vicenda un po’ più complessa?


«Certo. Ci sono molte finestre aperte che ci sono state chiuse in faccia. La lista è lunga, a partire a partire dalla Carta di localizzazione valanghe che non esiste, i permessi a costruire in quel luogo, la pulizia della strada e tanti altri punti».


Tra gli assolti c’è anche la funzionaria della Prefettura di Pescara che alle prime richieste di soccorso rispose «La mamma degli imbecilli è sempre incinta». Che pensa? 


«Noi non la condanniamo per quella frase, ma perché ha contribuito a nascondere la telefonata di D’Angelo. Quella è una battuta infelice, ascoltando bene la telefonata si capisce che lei stava prendendo indicazioni».


C’è un particolare che rende l’idea della sofferenza dei familiari in questi tre anni di processo? 


«La compostezza, la dignità. Stamattina (ieri, ndr) ho chiamato Nicola Colangeli che ogni giorno va a Rigopiano a portare un fiore per sua figlia. Mi ha detto: “Io sono qui a piangere e qualcuno sta festeggiando”». 


Cosa si aspetta ora?


«Una protesta anche da parte dei sindaci. La condanna a quello di Farindola farebbe pensare che è solo colpa dei primi cittadini. Invece non è così, oltre alla sua, che condivido, ci sono altre responsabilità».


La sentenza stabilisce anche una provvisionale sul risarcimento dei danni alle parti civili. Avete fatto una prima stima di quanto sarà riconosciuto per ogni vittima? 


«Non ci interessa. Non c’è cifra che possa risarcire». 


Ha già portato un fiore sulla tomba di suo fratello per provare a consolare questa delusione?


«Dovevamo andare ieri a Rigpiano, (giovedì, ndr) ma ironia della sorte c’è il pericolo valanghe. Torneremo presto». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico