MACERATA - «Siamo qui a corso Cairoli, ci sono stati degli spari, c'è un ragazzo a terra, è ferito, venga subito, qui hanno chiamato anche il 118, venga...
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Poi la voce tremante del barista. «Sono quel bar a Casette Verdini, hanno sparato due colpi dalla strada, da una macchina sulla vetrata», dice il titolare del circolo H7 di Casette Verdini di Pollenza, a 300 metri di distanza dal luogo dove tre giorni prima erano stati trovati i due trolley con i resti smembrati della 18enne romana Pamela Mastropietro. «A che altezza siete?» replicano i carabinieri dal centrralino della caserma di Macerata, fanno domande anche per localizzare lo sparatore nell'Alfa nera che a quell'ora non era stato ancora identificato ed aveva sparato in più punti ferendo sei immigrati. «Dove si è diretta la macchina? Hai visto dove ha girato» dicono dal centralino. E il barista replica: «Ho visto che andava verso la rondonta». «Sai dove ha girato?» domanda il carabiniere. «Putroppo no, siamo rimasti nel bar, ci siamo spaventati». Dall'altro capo: «Ci sono feriti?». «Grazie a Dio no, ma c'era gente dentro al bar». Allora il carabiniere: «Restate lì, mettetevi in copertura, arriviamo».
Poco dopo Luca Traini verrà arrestato davanti al monumento ai Caduti di Macerata con la bandiera d'Italia avvolta sulle spalle. Più tardi dirà: «L'ho fatto per vendicare Pamela». Per la morte della ragazza, affetta da problemi psicologici e da dipendenza da sostenze e scappata dalla comunità di recupero Pars, sono in carcere tre rifugiati nigeriani accusati di omicidio, vilipendio e occultamento di cavadere.
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Corriere Adriatico