MONTE SAN GIUSTO - Tenta il suicidio prima dell’udienza di appello, salvato Giuseppe Pellicanò. Il pubblicitario condannato all’ergastolo in primo grado, nel...
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La deflagrazione in via Brioschi ci fu la mattina del 12 giugno del 2016 quando la ex compagna di Pellicanò, Micaela Masella, andò in cucina per preparare la colazione ignara che la sera prima l’uomo aveva svitato il tubo del gas. Il corpo della donna, che di lì a poco sarebbe andata a vivere poco distante con il nuovo compagno, fu ritrovato in un’impalcatura del palazzo di fronte, le due figlie della coppia, all’epoca di 6 e 10 anni, che dormivano nel letto rimasero ustionate, Pellicanò che dormiva in soggiorno fu travolto dalle macerie riportando plurime ferite, mentre i due giovani marchigiani morirono schiacciati dalla parete che divideva il loro appartamento da quello del pubblicitario. La loro stanza da letto, infatti, era adiacente alla cucina. Il giudizio di primo grado, celebrato con rito abbreviato dinanzi al gup di Milano, Chiara Valori, si era concluso con la condanna all’ergastolo (stessa pena chiesta dal pubblico ministero). Discostandosi dalle conclusioni della perizia che aveva riconosciuto una parziale incapacità di Pellicanò, il giudice ritenne che la depressione di cui soffriva il pubblicitario non fosse tale da influire sulla capacità di intendere e di volere.
Questa mattina si celebrerà l’udienza dinanzi alla Corte d’assise d’Appello di Milano e il processo verterà tutto sul riconoscimento o meno della seminfermità dell’uomo. In totale sono 13 le parti civili, quattro di loro - la madre di Riccardo, Francesca Quagliatini, i genitori di Chiara, Luciano Magnamassa e Clara Zamponi, e il fratello della giovane, Alessandro - sono tutelate dall’avvocato Valeria Attili. Sarà una discussione complessa che potrebbe richiedere un’ulteriore udienza per la sentenza. «Perché – avevano scritto in una lettera i genitori di Chiara e Riccardo – i nostri figli hanno dovuto pagare un prezzo così atroce e irreparabile per una storia che non è – non è mai stata, nemmeno per un istante – la loro storia? Perché una fine così orrenda, così assurda, che racchiude in sé caratteri dell’ingiustizia assoluta? Il “Perché?” che nasce da quella interruzione tragica è un peso che non riusciamo a portare». Oggi dunque il processo di secondo grado sulla tragedia avvenuta a Milano. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico