LONDRA – Sentite questa: 30 agosto 1976, finale olimpica di volley, a Montreal, Polonia-Urss. Da una parte della rete tale Lech Lasko, polacco, dall’altra Vyacheslav...
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Cosa c’entra la Jugoslavia, direte voi. C’entra moltissimo, invece, perché in quella Jugoslavia, ora dissolta esattamente, anche se ahinoi, in modo diverso, come l’Urss, giocava tale Ljubo Travica, padre del regista azzurro Dragan. Ebbene: si dà il caso che Michal, Ivan e Dragan siano tre punti di forza (Ivan con i punti e Ljubo con la battuta addirittura fondamentali nella vittoria contro i marines americani dell’altroieri) della nazionale italiana che questa sera alle 19,30 inglesi, le 20,30 in Italia, disputerà la quinta semifinale olimpica consecutiva (l’altra, alle 16, sarà Bulgaria-Russia).
Avversario il Brasile, grande potenza del volley mondiale, lo stesso che ci ha fermato a un passo dall’oro ad Atene ed in semifinale a Pechino e che anche stasera parte favorito: ma anche gli Usa lo erano, dunque…. E Italia-Brasile nel volley somiglia molto a Italia-Brasile nel calcio. I figli d’arte lo sanno, ricordano, scherzano anche con i vecchi del gruppo e li prendono in giro per i trionfi sognati e mancati. I figli d’arte dai nomi contorti sono una garanzia di attaccamento alla maglia e si sentono più italiani di tanti Rossi e Bianchi, e amano definirsi nazionalisti («In senso buono però, si capisce»).
Del resto uno (Ivan) è nato a Spoleto, l’altro (Dragan) ha varcato il confine che aveva pochi giorni, il terzo (Michal) è arrivato che era un bambino: ascoltateli quando parlano, impossibile immaginare che non siano italiani. E, semmai, Dragan manda a quel paese Wikipedia, che gli dà del serbo: «Peccato che io sia nato a Zagabria. Se proprio vogliamo prenderla alla larga al massimo possono darmi dell’italo-croato».
Oggi, i tre figli d’arte, più i tre grandi vecchi (Fei, Papi e Mastrangelo), più i due liberi, più Birarelli, più capitan Savani (uomo da 19 punti contro gli Usa nei quarti), più gli altri - «Un grande gruppo – ricordava tempo fa Zaytsev – capace di emozionare, come dice il nostro ct Berruto, e dove siamo davvero amici, mentre mi sa che quelli della generazione dei fenomeni con i loro caratterini non lo erano mica tanto» - cercheranno di spezzare l’incantesimo che ha sempre tenuto l’Italia, anche quella grandissima di Velasco, a un passo dall’oro: bottino, due argenti e due bronzi.
«Certo – ricordava Ivan prima di partire per Londra – sarebbe bello poter dire di essere i soli azzurri a raggiungere questo obiettivo». Azzurri, col nome strano, d’accordo, ma con tanto cuore. Azzurri affamati e in cerca di gloria. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico