Negozi, record nel Fermano Il 40% ha le serrande alzate. Polacco di Camera Marche: «Più passano i giorni e più crescono i rischi»

Massimiliano Polacco, componente di giunta di Camera Marche
FERMO -  Nella provincia di Fermo, c’è la percentuale più alta della regione di attività aperte. Il 40% dei negozi del Fermano resta aperto: 1.535...

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FERMO -  Nella provincia di Fermo, c’è la percentuale più alta della regione di attività aperte. Il 40% dei negozi del Fermano resta aperto: 1.535 attività su 3.880. Attività aperte che coinvolgono 1.904 dipendenti. Nelle Marche la percentuale è leggermente inferiore e si attesta al 37% secondo i numeri elaborati da Unioncamere e InfoCamere sui dati del registro delle imprese delle Camere di Commercio.


La percentuale nazionale è ancora più bassa ed è del 36%. Di queste 1.535 attività che restano aperte, 752 sono del settore alimentare (ipermercati, supermercati, minimercati, commercio al dettaglio di bevande e tabacco) che danno lavoro a 1.210 dipendenti. Altre 115 sono farmacie, parafarmacie, vendita di articoli igienico-sanitari, medicali, ortopedici e di igiene personale che impiegano 191 dipendenti e infine ci sono altre 668 altre attività con 503 dipendenti.

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«Sono attività che confortano la nostra quotidianità e la rendono più vivibile e in qualche modo normale. Tra queste ci sono gli esercenti dell’alimentare che provvedono al nostro fabbisogno giornaliero, esposti molte ore a un flusso di persone che vede nell’approvvigionamento qualcosa di più che la risposta al primo fabbisogno» spiega Massimiliano Polacco, componente di giunta di Camera Marche che non nasconde l’esposizione al contagio delle attività aperte: «Una situazione che, protratta nel tempo, diventerà difficile per queste figure. Allo stesso rischio sono esposti anche gli addetti di farmacie e parafarmacie, ancora più direttamente a contatto con una clientela spesso non in perfetta forma, a cui dispensano anche indicazioni e supporto». Il pensiero va anche alle attività chiuse. Nella provincia di Fermo sono 6 su 10. «Se da una parte c’è l’affanno ma l’operatività dell’alimentare al dettaglio, dall’altro c’è la chiusura della ristorazione legata all’accoglienza, come della piccola ristorazione, i bar etc.: per queste realtà, che non hanno entrate ma sostengono costi, la situazione sta diventando difficilissima» conferma Polacco.


Realtà che, vista la situazione, hanno prospettive nere, con una stagione turistica che rischia di essere azzerata e che dunque attendono una risposta più concreta da parte del Governo. Come è stato sottolineato da più voci, il rimborso compensativo di 600 euro previsto dall’Esecutivo italiano viene considerato insufficiente per le categorie che restano chiuse, considerate le scadenze da pagare e gli obblighi, anche fiscali, a cui devono adempiere. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico