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FERMO - Che quello che ha ucciso Giuseppe Lenoci sia stato un incidente stradale i manifestanti scesi in piazza a Fermo ieri mattina non lo vogliono neanche sentire per sbaglio. Per loro, il sedicenne di Monte Urano morto lunedì a Serra de’ Conti sul quel furgone finito contro un albero non avrebbe mai dovuto salirci. Sarebbe dovuto stare a scuola, a imparare in classe il mestiere che avrebbe voluto fare da grande.
Hanno scelto Fermo per protestare contro l’alternanza scuola-lavoro gli studenti del collettivo Depangher, «perché i fatti ce lo impongono». Con loro c’erano i sindacalisti della Fiom e dell’Usb e alcuni operai della Caterpillar di Jesi, a rischio licenziamento. “Questo non è un incidente di percorso” e “Alternanza repressione maturità, no alla scuola dei padroni”, le scritteche sono apparse sugli striscioni appesi sotto il loggiato di San Rocco.
Una piazza non proprio «aperta, senza simboli e senza sigle, per allargare il più possibile la partecipazione», com’era stata annunciata. Con le bandiere dei sindacati “rossi” a sventolare sotto il cielo terso. «Se quelli del Pd non sono venuti e ci hanno chiesto di non scendere in piazza per non innalzare il populismo, è perché sono stati loro ad aver voluto l’alternanza scuola-lavoro, sono coscienti delle proprie responsabilità e vogliono che vengano taciute», dice Riccardo, del Depangher di Macerata. Ieri, gli studenti in piazza sono scesi in tutta Italia. A Fermo, sono arrivati un po’ da tutte le Marche. Tra i volti giovani dei ragazzi e quelli più maturi di lavoratori e sindacalisti, anche quelli di Francesca e Sabino, i genitori di Giuseppe.
Che ascoltano e applaudono quando, alternandosi al microfono, i manifestanti dicono che quello che è capitato al loro figlio «non è stato un incidente, ma rappresenta un modello di scuola che mira all’educazione allo sfruttamento» e che «a 16 anni non si può morire in alcun modo», men che meno in quello. Anche se quella di Giuseppe non era alternanza scuola-lavoro, ma uno stage, per chi protesta non fa differenza. Perché «una scuola professionale deve educare al lavoro in maniera virtuosa e non affidare l’educazione lavorativa ad aziende esterne».
Puntano il dito contro il lavoro non retribuito di chi va ancora studia, i manifestanti.
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Corriere Adriatico