Fermo, bancarotta fraudolenta Condannato un imprenditore

I controlli sono stati effettuati dalla Finanza
FERMO - Bancarotta fraudolenta. Il tribunale di Fermo ha emesso la sentenza con cui condanna un noto imprenditore edile del Fermano a tre anni e 4 mesi di reclusione. E...

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FERMO - Bancarotta fraudolenta. Il tribunale di Fermo ha emesso la sentenza con cui condanna un noto imprenditore edile del Fermano a tre anni e 4 mesi di reclusione. E scatta anche il sequestro di una cava nell'entroterra fermano.


A conclusione degli accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza per conto della Procura di Fermo su un sito di estrazione di materiali per l'edilizia, infatti, sono risultati indagati un imprenditore e la moglie, il primo nelle vesti di presidente del Cda della società fallita in maniera sospetta, la seconda per aver utilizzato indebitamente, con una seconda società, la titolarità di un'autorizzazione ricevuta dalla quella presieduta dal marito per proseguire un'illecita attività imprenditoriale.

I due, a cavallo tra il 2010 e il 2014, hanno fatto rimbalzare da una società all'altra beni e valori per un valore di quasi 1 milione e 400 mila euro, studiando a tavolino il collasso della prima nel 2012. L'uomo ha, secondo la magistratura, venduto beni e servizi della società che presiedeva a prezzi inferiori rispetto ai costi di acquisto e di produzione, generando deliberatamente il dissesto dell'azienda. Avrebbe anche destinato a finalità estranee all'esercizio d'impresa ingenti cifre di denaro aziendale.

Gli è stato oltretutto contestato il fatto di aver tenuto in maniera irregolare e incompleta i libri dell'inventario della società da lui presieduta, a cavallo tra il 2010 e il 2012. Un ginepraio davvero non facile in cui districarsi per gli investigatori che si sono trovati a dover indagare tra compravendite, affitti di rami d'azienda, usufrutti e cessioni irregolari di diritti di escavazioni varie. Una girandola di escamotage che fluttuavano da una società all'altra con epicentro sempre quella cava di sabbia e ghiaia.

Dal marito alla moglie: dopo il fallimento della prima società, la donna, nelle vesti di amministratrice di una nuova realtà societaria, sarebbe, per gli inquirenti, sbarcata nel mondo lavorativo già perfettamente attrezzata di mezzi, macchinari, certificazioni di qualità e personale. E come se non bastasse con la titolarità su una cava acquisita a un valore di molto inferiore rispetto alla stima di mercato e alle potenzialità che il sito può ancora esprimere in termini di estrazione di materiali.


Ma alla fine la Procura ha alzato il sipario. La magistratura, nel condannare il 49enne imprenditore ha anche richiesto il sequestro della cava. Il sito, o meglio i diritti vantati su di esso per i lavori, sarebbero al centro dell'eredità che le due società, quella fallita e quella che ne ha acquisito le autorizzazioni, si sono illecitamente passate. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico