FERMO - Don Vinicio Albanesi non indietreggia di un millimetro: tra la legge degli uomini e quella di Dio non ho dubbi su cosa scegliere. E’ intanto non solo una questione di...
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Divisi tra le giuste rimostranze di chi in Italia soffre e si sente dimenticato e di chi chiede di entrare perché, a casa propria, si muore, una volta sentito don Vinicio Albanesi si tende a superare l’ostacolo. “Due settimane fa dicendo messa ho letto la parabola del Vangelo che dice ’... avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero forestiero e mi avete ospitato... ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me’ (Matteo capitolo 25, ndr). Ecco allora siamo in presenza di due leggi, quella di Dio e quella degli uomini. Se devo scegliere, da cristiano mi dispiace ma non ho dubbi, scelgo quella di Dio”.
Don Vinicio Albanesi da otto mesi ha preso in carico i rifugiati arrivati nel Fermano, una bella gatta da pelare. E comunque la notte della ribellione, domenica sera, c’era lui in testa al drappello che è salito le scale per varcare le porte di quello che poteva essere un inferno. Fuori carabinieri e polizia lo avevano sconsigliato, lui non ha sentito però ragioni. In effetti al Seminario l’hanno fatta grossa l’altra sera... "Un peccato. Ora la situazione è tranquilla. Forse è stato l’arrivo di un ultimo gruppo, per correttezza non dico di quale nazionalità, che ha distorto l'equilibrio che c'era soprattutto all'inizio. Ci siamo ritrovati qualche gruppo non proprio tranquillo e infatti il clima è cambiato".
"Avevamo un bel sistema: scuola di italiano, alcuni poi avevano fatto l'accordo con il Comune, altri facevano sport. Avevamo anche attivato una scuola guida. Anche una scuola per saldatori ma il problema a questo punto è come scegliergli. La tensione è nata proprio qui, loro erano convinti che avevamo delle preferenze. In verità siamo di fronte a diverse nazionalità, diverse culture, diverse personalità tra loro e cerchiamo solo di individuare i più portati a fare certe corse. A volte le nazionalità pure non c’entrano, dipende dalla capacità dei singoli a sapersi inserire. Invece ora siamo costretti a continue trattative per non far creare tensione. Ecco questa è stata la causa scatenante del conflitto. Il problema è che da otto mesi stanno senza una notizia e questo mette in enorme difficoltà anche noi".
Oggi il centro di accoglienza rifugiati non è facile da seguire: "La verità è che in Italia non c'è un progetto di accoglienza di immigrati. Ci si riduce a salvargli la vita e poi a dargli il permesso di soggiorno. E basta. Non abbiamo gli strumenti. Il percorso per arrivare a dare integrazione. Allora abbiamo rafforzato l'equipe, nuova metodologia e cerchiamo ora di creare per ognuno un progetto. Tra loro c’è gente abbandonata. La scommessa educativa è creare una progettualità per ognuno di loro".
C'è poi il capitolo degli aiuti agli italiani, solitamente si dice che sono dimenticati: "Chi l'ha detto! - interrompe subito il don - questa affermazione la contesto e con forza. So io cosa fa la Caritas, oggi dà da mangiare più agli italiani che agli stranieri. Noi stiamo pagando persino le polizze assicurative delle automobile, lo sa? Paghiamo affitti e bollette".
Infine un pensiero a domenica scorsa, la notte della sommossa, lo avevano sconsigliato a salire le scale, ma lui non ha dato ascolto: "Se non salivo era finita. L'autorità si ristabilisce con il senso morale. Ed è quello che ho cercato di fare". Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico