OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
La recente decisione della Banca Centrale Europea (Bce) di alzare i tassi di interesse al fine di contenere l’inflazione ha fatto riemergere la questione del debito pubblico italiano. Siamo fra i paesi con il più alto debito pubblico in valore assoluto (circa 2.700 miliardi) e fra quelli con la più alta percentuale debito/Pil (150%). L’incremento dei tassi di interesse provoca un considerevole impatto sul costo del debito. Il salasso non è immediato poiché la durata media del debito italiano è di circa 7 anni e i maggiori costi sono pagati sulle nuove emissioni. Se però le aspettative d’inflazione e il rialzo dei tassi d’interesse dovessero confermarsi nei prossimi anni i maggiori oneri per interessi determinerebbero una consistente riduzione delle possibilità di spesa dello stato italiano. Il grido d’allarme arrivato dalle forze politiche per le decisioni della Bce è quindi giustificato ma non si può dire che si tratti di una situazione inaspettata. Quando l’Italia decise di entrare nell’Euro si sottolineò che a fronte della perdita di autonomia nella politica monetaria uno dei principali vantaggi sarebbe stato quello di poter godere di tassi di interesse sul debito molto minori di quelli che i soggetti nazionali, pubblici o privati, avrebbero pagato sul debito in lire. Si disse anche che avremmo potuto approfittare della riduzione degli oneri per interessi per ridurne l’entità del debito e rientrare nel rapporto debito/Pil. In realtà non abbiamo approfittato dell’occasione: il rapporto debito/Pil è calato di poco fra il 2001 e il 2007, dal 109% al 104%, per poi risalire bruscamente per effetto della crisi finanziaria del 2008-2009. Siamo così arrivati alla soglia della crisi pandemica con un rapporto debito/PIL al 135%, salito al 155% a fine 2020. Per i prossimi anni è prevista una riduzione del deficit (differenza fra spese e entrate nell’anno) e una conseguente riduzione del rapporto debito/PIL, che dovrebbe attestarsi al 141% nel 2025. È una previsione che potrebbe però rivelarsi ottimistica a causa del rallentamento dell’economia europea e mondiale generata dal protrarsi della guerra in Ucraina. L’Italia sembra essere entrata in un circolo vizioso per cui l’aumento del debito pubblico riduce gli spazi di manovra della finanza pubblica e rende sempre più difficoltose politiche di bilancio volte alla sua riduzione. Negli ultimi tempi si è diffusa la convinzione che la riduzione del rapporto debito/Pil può essere perseguita facendo crescere il Pil. Obiettivo non semplice poiché la crescita è frutto di investimenti produttivi, imprenditorialità e lavoro di qualità; elementi da tempo declinanti nel nostro paese. Il Pnrr dovrebbe rivitalizzare soprattutto gli investimenti ma per imprenditorialità e lavoro occorrerebbero misure di lungo periodo delle quali al momento sembra esservi scarsa evidenza. Nei prossimi anni le persone in età da lavoro diminuiranno in modo significativo.
* Docente di Economia alla Politecnica delle Marche
e coordinatore Fondazione Merloni
Corriere Adriatico