Investire sui nostri studenti per vincere la sfida del Pnrr

Investire sui nostri studenti per vincere la sfida del Pnrr
Quando un allenatore vuol rafforzare la sua squadra, la prima cosa a cui pensa è l’attacco. Sabato prossimo con l’inizio del campionato le squadre che avranno...

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Quando un allenatore vuol rafforzare la sua squadra, la prima cosa a cui pensa è l’attacco. Sabato prossimo con l’inizio del campionato le squadre che avranno le maggiori possibilità per lo scudetto saranno quelle che presenteranno un attacco convincente. Puntare solo sulla difesa non paga, non porta a vincere lo scudetto. Nella società della conoscenza dove lo studio e la ricerca creano sviluppo economico compatibile con l’ambiente ed equo verso la società, si ha bisogno di giovani preparati e competenti, i nostri “attaccanti”, capaci di comprendere e anticipare le transizioni necessarie allo sviluppo. Abbiamo bisogno di tante laureate e tanti laureati pronti a confrontarsi con le complessità del presente. Per il campionato appena iniziato del Pnrr, che terminerà nel 2026, secondo alcune stime sembra che manchino da 50 a 60 mila laureati all’anno. Non abbiamo quindi un numero sufficienti di attaccanti.

Anche qui come nel campionato di serie A apriamo agli stranieri? Sembra l’unica strada possibile. Nel recente passato si è scelto con tagli indiscriminati di ridimensionare il sistema dell’istruzione e dell’università. Con la scusa di riformare si sono solo tagliati i finanziamenti pubblici. Mi auguro che il prossimo governo che uscirà dalle elezioni del 25 settembre inserisca nella propria agenda il rafforzamento del sistema universitario e della ricerca per rispondere alle trasformazioni in atto, ma dagli schieramenti che si stanno formando in questi giorni non vedo nessuna attenzione su questo punto. Speriamo bene.

Per il dottorato di ricerca, il terzo livello della formazione universitaria, grazie al Pnrr saranno disponibili da quest’anno molte posizioni sia su proposte locali che nazionali, su tematiche che vanno dall’intelligenza artificiale e robotica alla pubblica amministrazione, con l’obiettivo di formare persone competenti in grado di ricoprire, dopo tre anni di studio e di ricerca, posizioni di rilievo nei diversi comparti della produzione e dei servizi, compresa la pubblica amministrazione. I migliori attaccanti per vincere le partite dei “mondiali”. Sicuramente per le diverse posizioni saranno “ingaggiati” molti studenti stranieri, soprattutto da paesi in via di sviluppo dell’Africa e dell’Asia. Le poche laureate e i pochi laureati italiani sono contesi dalle imprese che offrono al primo impiego retribuzioni superiori, almeno il 50% in più della borsa di dottorato ora a circa milleduecento euro al mese. Situazione ben diversa dal resto dell’Europa, dove per il dottorato sono previste borse di studio di importo paragonabile alle retribuzioni dei comparti produttivi, di oltre quattro mila euro al mese, ma soprattutto al termine del percorso formativo, quando vengono assunti dalle imprese, percepiscono stipendi superiori alla media e che giustamente valorizzano le competenze acquisite nei tre anni di studio e ricerca. In Italia, se e quando le imprese assumono dottori di ricerca offrono loro un contratto di apprendistato che per nulla valorizza i tre anni di impegno profusi nel dottorato. Spesso le nostre imprese non cercano giovani per rafforzare l’attacco ed investire nell’innovazione dirompente, quella che fa vincere i campionati internazionali, ma solo per la difesa dello status quo. Un altro dato che emerge dal recente rapporto sui laureati di Almalaurea, il consorzio interuniversitario degli atenei italiani e che ha coinvolto nell’analisi circa 300 mila laureati nel 2021, è la perdita di interesse ai percorsi universitari dei giovani provenienti da famiglie non particolarmente agiate, allontanando l’idea degli studi universitari come ascensore sociale. Convinzione che ha caratterizzato tutta la nostra generazione. Io e tanti miei amici e colleghi, con genitori non laureati e in condizioni economiche non particolarmente agiate, abbiamo intrapreso un percorso universitario grazie all’apertura e al rafforzamento del sistema universitario di cinquant’anni fa con nuove istituzioni, compresa l’Università Politecnica delle Marche dove mi sono laureato, più vicine e con costi più contenuti. Abbiamo preso l’ascensore per giocare nei migliori campionati nazionali ed internazionali. Perché non favorire ancora tutto questo per le nuove generazioni? Perché non investire nell’istruzione? Perché non progettare il futuro? Come in campionato dobbiamo forse cercare allenatori stranieri?

 

*Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione Facoltà di Ingegneria Università Politecnica delle Marche

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Corriere Adriatico