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Un ristoratore quarantacinquenne di Chiaravalle, uscendo dallo stadio dove aveva assistito ad una partita della squadra di calcio di cui è tifoso, ha incautamente maneggiato la giornalista Greta Beccaglia che lo ha denunciato. Nonostante le scuse dell’uomo, si è scatenato un linciaggio mediatico a suo danno cui ha cercato di porre parzialmente rimedio una cena di solidarietà organizzata da diverse donne, pronte a sostenere che Andrea Serrani non è un molestatore. Del fatto ci interessano tre cose: il retroterra culturale del gesto; il suo apparire riflesso condizionato di una certa sessualizzazione delle attuali forme espressive; la sua residualità alla luce dei nuovi processi di costruzione sociale del femminile. È assai diffusa oggi la percezione di vivere in un’epoca di sessualizzazione della cultura, in cui il tema dell’espressività del sé corporeo assume caratteri liberanti, nell’affrancamento dai tabù del passato e come modo autentico di vivere una dimensione centrale dell’esistenza, anche se nella problematica mutazione dell’intimità in “estimità” (J. Lacan). Per converso, si lamenta anche una banalizzazione della corporeità tipica di una società spudorata, priva di legami inibenti e sempre più improntata ad un voyeurismo che veicola continui richiami erotizzanti. Non è un caso che alcuni osservatori abbiano parlato di “striptease culture”, proprio per segnalare la democratizzazione (ma anche l’eccessiva semplificazione) di una immagine del corpo che permea la cultura di massa, soprattutto a danno del riconoscimento dei diritti delle donne. Il gesto in questione è stato stigmatizzato come riproposizione dei più truci stereotipi di genere, con le critiche alla loro funzione di blocco sociale che – è bene ricordarlo - ricevono anche delle smentite a livello di valutazioni generali inerenti l’evoluzione del rapporto individuo/società. Perché il pre-giudizio e lo stereotipo, specialmente in epoche di crescita della complessità sociale, mantengono inalterata una robusta dimensione socio-strutturale? Come molteplici forme di disumanizzazione emergono proprio in contesti socialmente avanzati, è la forte differenziazione sociale a servirsi in modo “ortogonale” di strategie cognitive che ritenevamo associate ad assetti culturali superati. La struttura sociale progredisce, ma non determina un concomitante, immediato, rinnovamento del patrimonio concettuale necessario ad abitarla (su tali questioni si veda in particolare Henry Tajfel). Quando i gesti e gli atti comunicativi sono mediati dagli oggetti, questi assorbono e modificano le intenzioni originarie degli attori disegnando nuove interazioni sociali. Però quando il gesto si attua a danno di un corpo, il regime comunicativo che si attiva potrà anche riguardare il recupero di strategie “fossili” di marginalizzazione e di legittimazione della violenza a danno della dignità della persona cui il corpo si riferisce. Allora, la gravità del gesto deriva dagli orizzonti di senso cui sotterraneamente rinvia, non ultimi quelli disegnati dall’antropologo Thomas Laqueur, che nel saggio “L’identità sessuale dai greci a Freud” metteva in luce la terribile peregrinazione del femminile attraverso categorie socio-culturali fortemente limitative, ad iniziare dalla lunga stagione dell’isomorfismo, la lettura “a negativo” del corpo della donna a partire dal prototipo umano/maschile di riferimento. Immedesimato con una cornice sociale di lunga durata, il molestatore col suo gesto faceva appello ad un inconscio collettivo maschile de-contestualizzato, convocato a forza all’interno di un quadro che, ritenuto a-temporale e dunque incontestabile, rimarcava immediatamente la sua estraneità, tarata sull’ingiustizia e la stupidità.
*Sociologo della devianza e del mutamento sociale
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