Un gesto svela i fantasmi del pregiudizio di genere

Un gesto svela i fantasmi del pregiudizio di genere

di Rossano Buccioni
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Martedì 7 Dicembre 2021, 10:35

Un ristoratore quarantacinquenne di Chiaravalle, uscendo dallo stadio dove aveva assistito ad una partita della squadra di calcio di cui è tifoso, ha incautamente maneggiato la giornalista Greta Beccaglia che lo ha denunciato. Nonostante le scuse dell’uomo, si è scatenato un linciaggio mediatico a suo danno cui ha cercato di porre parzialmente rimedio una cena di solidarietà organizzata da diverse donne, pronte a sostenere che Andrea Serrani non è un molestatore. Del fatto ci interessano tre cose: il retroterra culturale del gesto; il suo apparire riflesso condizionato di una certa sessualizzazione delle attuali forme espressive; la sua residualità alla luce dei nuovi processi di costruzione sociale del femminile. È assai diffusa oggi la percezione di vivere in un’epoca di sessualizzazione della cultura, in cui il tema dell’espressività del sé corporeo assume caratteri liberanti, nell’affrancamento dai tabù del passato e come modo autentico di vivere una dimensione centrale dell’esistenza, anche se nella problematica mutazione dell’intimità in “estimità” (J. Lacan). Per converso, si lamenta anche una banalizzazione della corporeità tipica di una società spudorata, priva di legami inibenti e sempre più improntata ad un voyeurismo che veicola continui richiami erotizzanti. Non è un caso che alcuni osservatori abbiano parlato di “striptease culture”, proprio per segnalare la democratizzazione (ma anche l’eccessiva semplificazione) di una immagine del corpo che permea la cultura di massa, soprattutto a danno del riconoscimento dei diritti delle donne. Il gesto in questione è stato stigmatizzato come riproposizione dei più truci stereotipi di genere, con le critiche alla loro funzione di blocco sociale che – è bene ricordarlo - ricevono anche delle smentite a livello di valutazioni generali inerenti l’evoluzione del rapporto individuo/società. Perché il pre-giudizio e lo stereotipo, specialmente in epoche di crescita della complessità sociale, mantengono inalterata una robusta dimensione socio-strutturale? Come molteplici forme di disumanizzazione emergono proprio in contesti socialmente avanzati, è la forte differenziazione sociale a servirsi in modo “ortogonale” di strategie cognitive che ritenevamo associate ad assetti culturali superati. La struttura sociale progredisce, ma non determina un concomitante, immediato, rinnovamento del patrimonio concettuale necessario ad abitarla (su tali questioni si veda in particolare Henry Tajfel). Quando i gesti e gli atti comunicativi sono mediati dagli oggetti, questi assorbono e modificano le intenzioni originarie degli attori disegnando nuove interazioni sociali. Però quando il gesto si attua a danno di un corpo, il regime comunicativo che si attiva potrà anche riguardare il recupero di strategie “fossili” di marginalizzazione e di legittimazione della violenza a danno della dignità della persona cui il corpo si riferisce.

Allora, la gravità del gesto deriva dagli orizzonti di senso cui sotterraneamente rinvia, non ultimi quelli disegnati dall’antropologo Thomas Laqueur, che nel saggio “L’identità sessuale dai greci a Freud” metteva in luce la terribile peregrinazione del femminile attraverso categorie socio-culturali fortemente limitative, ad iniziare dalla lunga stagione dell’isomorfismo, la lettura “a negativo” del corpo della donna a partire dal prototipo umano/maschile di riferimento. Immedesimato con una cornice sociale di lunga durata, il molestatore col suo gesto faceva appello ad un inconscio collettivo maschile de-contestualizzato, convocato a forza all’interno di un quadro che, ritenuto a-temporale e dunque incontestabile, rimarcava immediatamente la sua estraneità, tarata sull’ingiustizia e la stupidità. I gesti rinviano immediatamente ad una struttura sociale che costruendo le dinamiche minute dei rapporti tra gruppi e generi, lega costantemente tutte le forme di comunicazione alla differenziazione sociale di riferimento che le rende significative, muovendo da corpi che possono diventare testi sui quali decretare l’efficienza di un sistema simbolico di riferimento. Le forti stigmatizzazioni del gesto in oggetto hanno preso le mosse dalla ricerca di una rassicurazione cameratesca contro le evidenze del pieno diritto femminile a costruire liberamente il corpo, rianimando il fantasma irriflesso di un dominio abusante costruito sulla presunzione di marginalità della donna, il cui corpo è stato ridotto a “luogo pubblico” (B. Duden) su cui poter attivare impunemente pratiche oggettivanti. Ed in effetti, la reazione della giornalista che ha replicato «… non puoi fare questo, mi spiace…», faceva notare all’incauto protagonista la sua completa estraneità al quadro sociale di riferimento in cui una persona agiva la propria dimensione di ruolo assegnatale all’interno di una legittimazione di competenze, attribuzioni di responsabilità e rispetto di canoni contrattuali. Contro questa poderosa struttura di aspettative sociali, la presupposta facilità di intesa richiesta ad altri maschi a danno del femminile coinvolto, ha scatenato l’effetto opposto a quello preventivato dal ristoratore marchigiano perchè il gesto si mostrava violento proprio nel confidare in un improbabile ripristino di rappresentazioni del femminile appartenenti ad epoche remote, convocate a tradimento solo in vista della banalizzazione della dialettica di genere. Inoltre, se nell’attuale condizione di dominanza tecnologica gli uomini operano un unico re-impossessamento del sé corporeo, il femminile ne sta operando addirittura due, dovendo muovere da una pregressa condizione di “marginalità oggettivata” (C. Volpato). Bisognerebbe ricordarselo, anche uscendo da un tempio del neo-paganesimo sportivo.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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