Stop alla perdita di biodiversità Non le potremo più ricomprare

Stop alla perdita di biodiversità Non le potremo più ricomprare
La COP 15, la conferenza dedicata alla protezione della biodiversità si è appena conclusa dopo due settimane di trattative complesse. Si tratta di una conferenza...

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La COP 15, la conferenza dedicata alla protezione della biodiversità si è appena conclusa dopo due settimane di trattative complesse. Si tratta di una conferenza molto più importante della COP27 dedicata al clima per molte ragioni, ma è passata inspiegabilmente quasi inosservata. La partita in gioco è tuttavia fondamentale: nei prossimi decenni, in uno scenario di crescita sregolata e rapace come quella attuale, è prevista la perdita di oltre un milione di specie. Se pensiamo che ad oggi sono state censite meno di due milioni di specie ci rendiamo conto della catastrofe attesa. I Paesi del mondo hanno concordato un pacchetto storico di misure ritenute fondamentali per affrontare la perdita di biodiversità e ripristinare gli ecosistemi naturali. La 15° Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica, svolta sotto l’egida delle Nazioni Unite, è stata presieduta dalla Cina e ospitata dal Canada. I risultati sono molto rilevanti perché la conferenza ha adottato il “Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework” (GBF), che comprende quattro obiettivi e 23 traguardi molto ambiziosi da raggiungere entro il 2030. Il primo è la protezione di almeno il 30% delle terre, delle acque interne, delle zone costiere e degli oceani del mondo (siamo ancora molto lontani da questo traguardo se pensiamo che non abbiamo raggiunto la quota 20% prevista per il 2020). Attualmente, infatti, solo il 17% delle aree terrestri e il 10% delle aree marine del mondo sono protette. Le Nazioni Unite ci spingono anche ad avviare il ripristino/restauro di almeno il 30% degli ecosistemi terrestri, interni e costieri e marini degradati e a ridurre fino ad annullare la perdita di aree e di habitat di elevata importanza per la biodiversità. Ma non basta, servono anche misure volte a dimezzare gli sprechi alimentari globali e ridurre significativamente il consumo eccessivo e la produzione di rifiuti. Inoltre, dobbiamo dimezzare il rilascio di nutrienti, pesticidi e altre sostanze chimiche pericolose. Una misura che appare scontata, ma non lo è per nulla, è quella dell’eliminazione entro il 2030 dei sussidi a coloro che danneggiano la biodiversità, come nel caso della pesca e di altre attività. Si parla di almeno 500 miliardi di dollari di sussidi all’anno a livello globale. Inoltre, bisogna aumentare gli incentivi alla conservazione della biodiversità e l’uso sostenibile delle risorse naturali. È ovvio che il principale terreno di scontro durante la COP 15 è stato quello tra Paesi poveri e Paesi ricchi, quest’ultimi accusati di non investire abbastanza nell’attuazione di queste riforme epocali. Mobilitare entro il 2030 almeno 200 miliardi di dollari all’anno con finanziamenti nazionali e internazionali per la biodiversità appare il minimo, ma non è per nulla scontato. Anche perché significa che i Paesi sviluppati dovranno finanziare quelli in via di sviluppo, in particolare i Paesi meno sviluppati come i piccoli Stati insulari. Un altro tema chiave nella COP 15 è stato il contrasto alla diffusione di specie esotiche invasive, le cosiddette specie aliene. Si tratta di un’invasione poco appariscente e silente, che tuttavia sta compromettendo i nostri ecosistemi e mettendo a rischio biodiversità e risorse naturali. Le conclusioni della conferenza appaiono chiare: senza tale azione di contrasto, ci sarà un’ulteriore accelerazione del tasso globale di estinzione delle specie che è già almeno da decine a centinaia di volte superiore alla media degli ultimi 10 milioni di anni. Sono dichiarazioni forti e preoccupanti, che tuttavia abbiamo bisogno di prendere in considerazione molto seriamente. Recenti studi hanno chiaramente dimostrato che i costi dell’inazione, cioè del non fare nulla, pensando che i problemi si risolvano da soli, sono di molto superiori ai costi dell’investimento in azioni positive. Ce lo insegna anche la nostra economia domestica, trattare bene le “nostre cose”, proteggerle e farle durare nel tempo, costa molto meno rispetto a ripararle o ricomprarle. E quando parliamo di biodiversità, la perdita di specie non ha prezzo, perché non si può “ricomprare”.

*Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine

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Corriere Adriatico