Stop alla perdita di biodiversità Non le potremo più ricomprare

Stop alla perdita di biodiversità
Non le potremo più ricomprare

di Roberto Danovaro
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Giovedì 22 Dicembre 2022, 19:33

La COP 15, la conferenza dedicata alla protezione della biodiversità si è appena conclusa dopo due settimane di trattative complesse. Si tratta di una conferenza molto più importante della COP27 dedicata al clima per molte ragioni, ma è passata inspiegabilmente quasi inosservata. La partita in gioco è tuttavia fondamentale: nei prossimi decenni, in uno scenario di crescita sregolata e rapace come quella attuale, è prevista la perdita di oltre un milione di specie. Se pensiamo che ad oggi sono state censite meno di due milioni di specie ci rendiamo conto della catastrofe attesa. I Paesi del mondo hanno concordato un pacchetto storico di misure ritenute fondamentali per affrontare la perdita di biodiversità e ripristinare gli ecosistemi naturali. La 15° Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica, svolta sotto l’egida delle Nazioni Unite, è stata presieduta dalla Cina e ospitata dal Canada. I risultati sono molto rilevanti perché la conferenza ha adottato il “Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework” (GBF), che comprende quattro obiettivi e 23 traguardi molto ambiziosi da raggiungere entro il 2030. Il primo è la protezione di almeno il 30% delle terre, delle acque interne, delle zone costiere e degli oceani del mondo (siamo ancora molto lontani da questo traguardo se pensiamo che non abbiamo raggiunto la quota 20% prevista per il 2020). Attualmente, infatti, solo il 17% delle aree terrestri e il 10% delle aree marine del mondo sono protette. Le Nazioni Unite ci spingono anche ad avviare il ripristino/restauro di almeno il 30% degli ecosistemi terrestri, interni e costieri e marini degradati e a ridurre fino ad annullare la perdita di aree e di habitat di elevata importanza per la biodiversità. Ma non basta, servono anche misure volte a dimezzare gli sprechi alimentari globali e ridurre significativamente il consumo eccessivo e la produzione di rifiuti. Inoltre, dobbiamo dimezzare il rilascio di nutrienti, pesticidi e altre sostanze chimiche pericolose. Una misura che appare scontata, ma non lo è per nulla, è quella dell’eliminazione entro il 2030 dei sussidi a coloro che danneggiano la biodiversità, come nel caso della pesca e di altre attività.

Si parla di almeno 500 miliardi di dollari di sussidi all’anno a livello globale. Inoltre, bisogna aumentare gli incentivi alla conservazione della biodiversità e l’uso sostenibile delle risorse naturali. È ovvio che il principale terreno di scontro durante la COP 15 è stato quello tra Paesi poveri e Paesi ricchi, quest’ultimi accusati di non investire abbastanza nell’attuazione di queste riforme epocali. Mobilitare entro il 2030 almeno 200 miliardi di dollari all’anno con finanziamenti nazionali e internazionali per la biodiversità appare il minimo, ma non è per nulla scontato. Anche perché significa che i Paesi sviluppati dovranno finanziare quelli in via di sviluppo, in particolare i Paesi meno sviluppati come i piccoli Stati insulari. Un altro tema chiave nella COP 15 è stato il contrasto alla diffusione di specie esotiche invasive, le cosiddette specie aliene. Si tratta di un’invasione poco appariscente e silente, che tuttavia sta compromettendo i nostri ecosistemi e mettendo a rischio biodiversità e risorse naturali. Le conclusioni della conferenza appaiono chiare: senza tale azione di contrasto, ci sarà un’ulteriore accelerazione del tasso globale di estinzione delle specie che è già almeno da decine a centinaia di volte superiore alla media degli ultimi 10 milioni di anni. Sono dichiarazioni forti e preoccupanti, che tuttavia abbiamo bisogno di prendere in considerazione molto seriamente. Recenti studi hanno chiaramente dimostrato che i costi dell’inazione, cioè del non fare nulla, pensando che i problemi si risolvano da soli, sono di molto superiori ai costi dell’investimento in azioni positive. Ce lo insegna anche la nostra economia domestica, trattare bene le “nostre cose”, proteggerle e farle durare nel tempo, costa molto meno rispetto a ripararle o ricomprarle. E quando parliamo di biodiversità, la perdita di specie non ha prezzo, perché non si può “ricomprare”.

*Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine

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