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Potremo raccontarlo ai nostri nipoti, dilungandoci molto, annoiandoli a morte. O forse per allora avremo sperimentato ancor più gravi tecnologici disservizi, e ai nipoti incolpevoli narreremo di quelli, annoiandoli a morte. Di sicuro, il crash contemporaneo di Facebook e Messenger e Instagram e Whatsapp è stato l’evento della settimana. Lunedì, l’intera galassia Zuckerberg in down per sette ore, all over the world. Sembra, fonte interna all’azienda, a causa di un errore nella configurazione dei «router della dorsale che coordinano il traffico di rete tra i nostri data center». Non ci avete capito un tubo? Tranquilli, non serve approfondire, se non ci lavori campi bene anche senza sapere che cavolo sia un router della dorsale e come si configuri correttamente. Conseguenze serie. A Wall Street al titolo Facebook gli ha preso un mezzo coccolone, giù di 5 punti che per Zuckerberg significano 6 miliardi di dollari andati in fumo, non che per così poco sarà costretto a rivolgersi alla mensa dei poveri. Gli analisti di Bloomberg calcolano che ogni ora di crash sua costato all’azienda 160 milioni di dollari Conseguenze facete. Gli utenti lasciati a terra dal router di Zuckerberg si sono riversati su Twitter e lì si sono scatenati. Vai con le battute, con i meme, all over the world. Antologia estremamente succinta, giusto per dare un’idea. «Instagram in down. Chiara Ferragni fa domanda per il reddito di cittadinanza». Foto di Zuckerberg che armeggia coi cavi elettrici, sullo sfondo un muro dipinto di rosa: «Mi passate un po’ di nastro isolante? Dai, che ho quasi finito». Sempre Zuckerberg, romanesco e perplesso davanti allo schermo del computer, chiede alla moglie: «Che hai acceso er forno? Che qui è sartato tutto». Di contro: «Proprietario di Twitter in questo momento», e sotto la foto di Zio Paperone che si tuffa in un mare di monete d’oro. (Il proprietario di Twitter, Jack Dorsey, non ha mancato di postare, beffardo e soddisfatto: «Hello literally everyone», ciao proprio a tutti). Torniamo seri, giusto un po’, troppa serietà può condurre alla morte: per noia. Punto primo. Il crash globale sette ore secche della galassia Facebook dice della fragilità della tecnologia, che pure si presenta come onnipotente. Un router che si sràutera (ecco coniato un neologismo non più orrido di tanti che hanno preso piede) e salta tutto. E online c’è buona parte della vita di noi tutti. I social stessi ormai sono strumenti di lavoro, e non solo di giocose o moleste idiozie, per un sacco di gente che non si chiama Chiara Ferragni e non fa parte della compagnia influente. Per esempio noi giornalisti, ed ecco un tipico scambio di whatsapp. Collaboratore cui si è accesa la lampadina: «Mi dai una pagina per un pezzone sul passero dalla zampetta brencia che ora sul mio balcone barcolla eppur spazzola via ogni briciola di pane? La sua determinazione a vivere mi commuove». Redattore insensibile: «Ehi, qui si lavora.
*Opinionista e critico cinematografico
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