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Parlando di futuro, come nelle interviste che stiamo pubblicando sul Corriere Adriatico. Parlando di futuro perché sì, ormai è tempo di guardare avanti, qualche settimana, pochi mesi ancora di pazienza e prudenza e conquiste parziali, e potremo riprenderci la vita come la conoscevamo, se pure il virus non vorrà lasciarci del tutto l’avremo comunque relegato sullo sfondo, lo calcoleremo meno della mononucleosi, malattia non simpatica, dicono, ma chi modifica di un nonnulla la propria esistenza per evitare di beccarsela? Ci ritroveremo piuttosto a commentare l’articolo «Infettivologi in coda dallo psicologo per superare il trauma della notorietà perduta», vedrete. Parlando di futuro, ecco allora le sette cose che farò a libertà recuperata. Alcune saranno anche nella vostra lista. 1) Precipitarmi alla prima festa popolare organizzata nel raggio di 200 km. Fosse pure la Sagra della Sugna. E attaccare discorso con gli sconosciuti, io che posso stare giornate intere proferendo giusto qualche monosillabo e ho lo stesso grado di socievolezza di un riccio tutti gli aculei spianati. E partecipare alla calca attorno al chiosco dei sugnosi panini, malgrado prima della pandemia bastasse il pensiero di un affollamento per guastarmi l’umore e sentirmi mancare il fiato. E asociale e allergico alla folla tornerò di sicuro, ma quanta voglia di partecipare a un assembramento, adesso. 2) Assistere a un film seduto fianco a fianco a un amico. Se amica e anche generosa, molto meglio. Fianco a fianco: niente più poltrona vuota a dividerci col nastro bianco e rosso che urla «Verboten!». Dandoci di gomito alle scene emozionanti. Guardandoci negli e occhi e ridendo all’unisono alla gag riuscita. Prometto all’amica che non le rovinerò la proiezione bisbigliandole all’orecchio commenti critici a ripetizione («Vedi, questo movimento di macchina non ha necessità drammatica, è un virtuosismo inutile perciò molesto. E la scena andava tagliata mezzo secondo prima, se non otto decimi!»). 3) Cimentarmi in cucina. Seriamente. Tentando piatti elaborati, al momento le mie abilità culinarie fermandosi all’uovo al tegamino o appena più in là. Non ho colto l’occasione pandemica non desiderando nutrirmi di: roba semicruda, roba carbonizzata (che un attimo prima era semicruda), roba che dovrebbe avere un qualche sapore però non ce l’ha (e no, quando mi riuscì quella prodezza il Covid non esisteva). Prima di affrontare padelle e fornelli voglio la certezza di poter essere soccorso e sfamato dai ristoratori non più obbligati alla capienza ridotta e alla chiusura anticipata. 4) Recuperare e approfondire la mia abissale ignoranza attorno alle faccende attinenti alla salute. Qualcosina in questi 15 mesi ho dovuto imparare, dimenticare tutto non sarà difficile (sono i vantaggi di una pessima memoria, carissimi). A pandemia archiviata, non leggerò manco un articolo su morbi più o meno orribili e prevenzione dei medesimi e terapie disponibili.
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Corriere Adriatico