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Si è molto discusso nelle ultime settimane a proposito dell’entità della manovra di spesa consentita dai fondi messi a disposizione dal Next Generation EU. Il dibattito sull’entità della manovra ha messo in ombra quello sulla direzione verso cui indirizzare le risorse. Una direzione che emerge abbastanza chiaramente dai nuovi indirizzi della politica economica e industriale dell’Ue. Nella precedente programmazione dei fondi strutturali (2014-2020) la Ue ha caratterizzato la politica di sviluppo con tre parole chiave: intelligente, inclusiva e sostenibile. Intelligente fa riferimento all’importanza di basare lo sviluppo sull’economia della conoscenza, sulla ricerca e sull’innovazione. Inclusivo fa riferimento alla necessità che lo sviluppo avvenga senza aumentare le disuguaglianze. Infine, la sostenibilità è relativa alla necessità di contenere l’impatto ambientale dello sviluppo. Il modo con il quale ho descritto questo approccio è quello con il quale è stato fin qui interpretato: considerando cioè l’esistenza di un trade-off (incompatibilità) fra questi obiettivi; che le politiche nazionali e regionali dovevano cercare di contemperare. Il trade-off fra sviluppo e sostenibilità ambientale è quello più evidente ed ha spesso dato luogo a contrapposizioni violente fra sostenitori dell’occupazione e del PIL da una parte e ambientalisti dall’altra. Ma anche il trade-off fra sviluppo e inclusione sociale è divenuto sempre più evidente. Diversi indicatori segnalano un aumento delle disuguaglianze, sia a livello territoriale sia fra le diverse classi sociali. Il successo dei movimenti populisti e sovranisti nell’ultimo decennio è stato interpretato proprio come risposta al crescente disagio dei territori o dei gruppi di popolazione lasciati ai margini della crescita. Il nuovo orientamento delle politiche di sviluppo propone un deciso cambio di paradigma: quello di uno sviluppo realizzato attraverso l’inclusione e la sostenibilità ambientale. In sostanza questi tre obiettivi non debbono più essere considerati come alternativi, da bilanciare in un difficile equilibrio, ma come pilastri che si rafforzano vicendevolmente. Per mettere in pratica questo nuovo paradigma occorre un cambio di atteggiamento e di strategie a tutti i livelli: dal comportamento dei singoli cittadini, alle strategie delle imprese, alle azioni dei policy maker. Se, come si ribadisce continuamente, l’attuale situazione di crisi deve essere sfruttata per introdurre cambiamenti significativi, il nuovo approccio proposto dalla UE è quello verso il quale dovremo da subito iniziare a orientare le nostre azioni e i nostri investimenti. Non si tratta di un approccio utopistico ma di una strada lungo la quale molte imprese e comunità, in Europa e fuori dall’Europa, si sono già incamminate da tempo. Molte delle soluzioni tecnologiche necessarie a percorrerla sono già disponibili; si tratta di adottarle o adattarle alle diverse condizioni.
*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni
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