Intelligente, inclusivo e sostenibile le tre parole chiave per lo sviluppo

Intelligente, inclusivo e sostenibile le tre parole chiave per lo sviluppo

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 21 Ottobre 2020, 10:45

Si è molto discusso nelle ultime settimane a proposito dell’entità della manovra di spesa consentita dai fondi messi a disposizione dal Next Generation EU. Il dibattito sull’entità della manovra ha messo in ombra quello sulla direzione verso cui indirizzare le risorse. Una direzione che emerge abbastanza chiaramente dai nuovi indirizzi della politica economica e industriale dell’Ue. Nella precedente programmazione dei fondi strutturali (2014-2020) la Ue ha caratterizzato la politica di sviluppo con tre parole chiave: intelligente, inclusiva e sostenibile. Intelligente fa riferimento all’importanza di basare lo sviluppo sull’economia della conoscenza, sulla ricerca e sull’innovazione. Inclusivo fa riferimento alla necessità che lo sviluppo avvenga senza aumentare le disuguaglianze. Infine, la sostenibilità è relativa alla necessità di contenere l’impatto ambientale dello sviluppo. Il modo con il quale ho descritto questo approccio è quello con il quale è stato fin qui interpretato: considerando cioè l’esistenza di un trade-off (incompatibilità) fra questi obiettivi; che le politiche nazionali e regionali dovevano cercare di contemperare. Il trade-off fra sviluppo e sostenibilità ambientale è quello più evidente ed ha spesso dato luogo a contrapposizioni violente fra sostenitori dell’occupazione e del PIL da una parte e ambientalisti dall’altra. Ma anche il trade-off fra sviluppo e inclusione sociale è divenuto sempre più evidente. Diversi indicatori segnalano un aumento delle disuguaglianze, sia a livello territoriale sia fra le diverse classi sociali. Il successo dei movimenti populisti e sovranisti nell’ultimo decennio è stato interpretato proprio come risposta al crescente disagio dei territori o dei gruppi di popolazione lasciati ai margini della crescita. Il nuovo orientamento delle politiche di sviluppo propone un deciso cambio di paradigma: quello di uno sviluppo realizzato attraverso l’inclusione e la sostenibilità ambientale. In sostanza questi tre obiettivi non debbono più essere considerati come alternativi, da bilanciare in un difficile equilibrio, ma come pilastri che si rafforzano vicendevolmente.

Per mettere in pratica questo nuovo paradigma occorre un cambio di atteggiamento e di strategie a tutti i livelli: dal comportamento dei singoli cittadini, alle strategie delle imprese, alle azioni dei policy maker. Se, come si ribadisce continuamente, l’attuale situazione di crisi deve essere sfruttata per introdurre cambiamenti significativi, il nuovo approccio proposto dalla UE è quello verso il quale dovremo da subito iniziare a orientare le nostre azioni e i nostri investimenti. Non si tratta di un approccio utopistico ma di una strada lungo la quale molte imprese e comunità, in Europa e fuori dall’Europa, si sono già incamminate da tempo. Molte delle soluzioni tecnologiche necessarie a percorrerla sono già disponibili; si tratta di adottarle o adattarle alle diverse condizioni. Sono sempre più numerose le imprese che fanno della diversità e della capacità di inclusione un elemento di forza e non di debolezza nella gestione del proprio capitale umano. Ancor più numerose sono quelle che hanno compreso che il rispetto dell’ambiente, nei processi come nei prodotti, non è solo un costo o un vincolo di cui tenere conto ma un’opportunità su cui fondare il vantaggio competitivo. Ho citato le imprese poiché la pressione competitiva cui sono sottoposte le rende maggiormente sensibili alla necessità di innovare tecnologie e modelli di business. Le maggiori resistenze al cambiamento si osservano nei comportamenti dei cittadini e nelle azioni dei policy maker. Per questo occorre da subito orientare il dibattito non sull’entità delle risorse da spendere ma innanzitutto sulla direzione verso cui indirizzarle. La sfida, infatti, non è quella di enunciare questo nuovo paradigma ma di tradurlo in azioni e politiche specifiche. I piani di rilancio della Germania e della Francia (già elaborati nel corso dell’estate) sposano in pieno questa nuova prospettiva e sono entrambi molto chiari sulle azioni da intraprendere e sui relativi investimenti. Il nostro è fermo a contemplare l’ammontare della spesa. Che di per sé non produce sviluppo.

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni

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