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La presentazione della Classifica delle principali imprese marchigiane, elaborata in collaborazione fra la Fondazione Aristide Merloni e l’Università Politecnica delle Marche, offre come sempre un’occasione di riflessione sullo stato e sulle prospettive del sistema economico regionale. La Classifica è giunta alla trentaseiesima edizione. L’origine della Classifica, cioè di uno strumento di monitoraggio delle principali imprese, aveva alla base due convinzioni riguardo i processi di sviluppo regionale: la centralità del sistema manifatturiero e la rilevanza delle grandi imprese. Queste convinzioni mantengono tuttora la loro validità e si sono anzi rafforzate.
Dopo la crisi finanziaria del 2008-2009 la Commissione Ue aveva messo in guardia dai rischi di un abbandono delle produzioni manifatturiere e aveva chiamato gli stati membri ad impegnarsi per una rinascita manifatturiera, con l’obiettivo di portare il peso del manufatturiero sul PIL ad almeno il 20%. L’importanza del manifatturiero non è solo quantitativa ma soprattutto qualitativa, per la maggiore capacità innovativa, il ruolo nell’export e l’effetto di traino verso gli altri settori dell’economia. La centralità del manifatturiero è diventata ancor più evidente con le crisi recenti determinate dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina le quali hanno evidenziato la rilevanza strategica del controllo delle filiere di produzione e la necessità di riportare nella Ue produzioni manifatturiere che erano state abbandonate a favore soprattutto dei paesi dell’est Asia.
La dinamica registrata nell’ultimo decennio non è stata però omogenea fra i diversi comparti. Il sistema moda (tessile, abbigliamento, calzature) ha mantenuto un andamento negativo in termini di valore aggiunto e occupazione anche dopo il 2014, mentre tutti gli altri comparti sperimentavano un deciso recupero dei livelli produttivi. In particolare, i diversi comparti della meccanica (prodotti in metallo, macchine, apparecchiature elettriche, mezzi di trasporto) sono stati quelli più dinamici; hanno accresciuto il loro peso sul manifatturiero e ne sono diventati la parte trainante in termini di capacità innovativa e incrementi di produttività. Le notizie per la regione sono meno buone quando consideriamo la rilevanza delle grandi imprese. Il peso delle grandi imprese è inferiore nella regione rispetto quanto si osserva nelle altre regioni manifatturiere italiane.
Se consideriamo le società con oltre 100 milioni di euro di fatturato ve ne sono circa 30 per milione di abitanti nelle Marche; ma sono circa 70 in Veneto, più di 80 in Emilia-Romagna e oltre 100 in Lombardia. Peraltro, quelle che consideriamo grandi imprese nel contesto italiano rimangono comunque piccole nel confronto internazionale. Come ho più volte ribadito, il problema per il sistema regionale non è l’eccessiva presenza di piccole e piccolissime imprese; ben venga un loro ulteriore incremento. E’ però sempre più evidente che un sistema basato in prevalenza sulle piccole imprese non è più in grado di reggere le nuove condizioni della competizione internazionale. Soprattutto sul fronte dell’innovazione e del controllo delle filiere. Un sistema di piccole imprese, per quanto articolato e coeso, non è in grado di replicare le caratteristiche e le funzioni di una grande impresa. Grandi e piccole imprese svolgono ruoli complementari e fra loro non facilmente sostituibili. Nel caso della Marche occorre favorire con più decisione i processi di crescita e di aggregazione delle imprese in modo da affiancare all’esteso e vivace tessuto delle piccole imprese anche un altrettanto robusto sistema di grandi e medie imprese.
*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni
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Corriere Adriatico