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La rapida ripresa della pandemia da Covid-19 in Italia e in Europa nelle ultime settimane ha indotto ad una drastica revisione al ribasso delle stime del Pil per il 2020. Oltre all’impatto immediato determinato dalle misure di contenimento adottate nel nostro paese e negli altri paesi europei vi è l’effetto altrettanto significativo indotto dal calo dei consumi e, soprattutto, dal calo degli investimenti delle imprese. Un calo che è dovuto non solo alla contrazione dei redditi delle famiglie e ai problemi di liquidità delle imprese ma anche al clima di forte incertezza sull’evoluzione della pandemia e sulle sue conseguenze. Ne sono una conseguenza l’accumulo di liquidità sui conti correnti da parte delle famiglie e la rinuncia agli investimenti da parte delle imprese malgrado la disponibilità di finanziamenti a tassi estremamente bassi. In questo contesto le misure di sostegno finanziario al reddito delle famiglie e alla liquidità delle imprese rischiano di perdere parte della loro efficacia come volano di recupero della domanda poiché l’incertezza paralizza le decisioni di consumo e di investimento, incentivando il risparmio e l’accumulo di liquidità. Per uscire da questa situazione occorrerebbe muovere lungo due direttrici: un’immediata e consistente ripresa degli investimenti pubblici e la definizione di un piano di politica industriale a medio termine. I due aspetti sono strettamente collegati poiché sarebbe auspicabile che gli investimenti pubblici procedessero non in modo casuale ma in linea con gli obiettivi della politica industriale. Parlo di politica industriale e non di politica economica (o di scelte politiche tout court) per due ragioni. La prima è che la principale causa del declino economico e sociale del nostro paese, ma si potrebbe dire anche della nostra regione, è nella progressiva perdita di competitività del sistema produttivo; determinata a sua volta dalla scarsa capacità innovativa e dalla conseguente bassa crescita della produttività. Invertire questa tendenza è quindi una priorità assoluta. La seconda ragione è nel fatto che le scelte di politica industriale sono sempre più collegate alle scelte di politica generale riguardanti le direzioni dello sviluppo economico e sociale che si vogliono perseguire e le priorità di intervento che da queste discendono. Basta pensare ai temi della sostenibilità ambientale e della trasformazione digitale che hanno impatto sia sui modelli di business delle imprese sia sulla qualità della vita dei cittadini e sulle loro possibilità di accesso a nuovi prodotti e servizi. Oppure considerare il legame sempre più stretto fra la ricerca, l’innovazione e la soluzione delle grandi sfide sociali: come il tema attuale della tutela della salute. Purtroppo, su entrambi questi fronti - quello degli investimenti pubblici e quello della politica industriale - il nostro paese annaspa.
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Corriere Adriatico