La competitività delle imprese dipende anche dalle dimensioni

La competitività delle imprese dipende anche dalle dimensioni
Nel nostro paese è da decenni aperta e non risolta la questione dimensionale delle imprese, in particolare di quelle manifatturiere. È noto che il sistema...

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Nel nostro paese è da decenni aperta e non risolta la questione dimensionale delle imprese, in particolare di quelle manifatturiere. È noto che il sistema manifatturiero del nostro paese, e ancor più quello della nostra regione, è caratterizzato da una dimensione media delle imprese molto inferiore a quella che si riscontra negli altri paesi industrializzati. Come ho più volte sottolineato, questa situazione non dipende dall’eccessivo numero di piccole e piccolissime imprese. Dobbiamo anzi preoccuparci del fatto che nell’ultimo decennio si è affievolita la propensione a far nascere nuove imprese e il numero delle piccole imprese è in diminuzione (ne dava conto su questo giornale Lorenzo Sconocchini in un articolo di domenica scorsa). La bassa dimensione media dipende piuttosto dal ristretto numero di medie e grandi imprese presenti nel nostro paese. Oltre mezzo secolo fa, alla fine degli anni ‘70, Giorgio Fuà (l’economista marchigiano fondatore della Facoltà di Economia di Ancona e dell’Istao) aveva individuato le ragioni di questa situazione nel fatto che l’Italia era tra i Paesi che si erano avviati in ritardo nel processo di industrializzazione, al pari di altri paesi a ‘sviluppo tardivo’ come Spagna, Portogallo e Grecia. Questa condizione di ritardo determinava una carenza di fattore organizzativo-imprenditoriale adeguato a gestire imprese moderne e di grandi dimensioni. Proprio da questa riflessione nacque l’idea dell’Istao come istituto di formazione di manager e imprenditori destinati non solo alle imprese manifatturiere ma anche a quelle dei servizi e della pubblica amministrazione. La bassa qualità del fattore organizzativo-imprenditoriale non riguardava, infatti, solo le imprese manifatturiere ma anche il sistema dei servizi privati e pubblici che sono di supporto alla produzione. Da queste riflessioni erano anche nate, a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, una serie di iniziative volte a sviluppare il mercato di borsa al fine di favorire l’apertura degli assetti proprietari, la crescita e la managerializzazione delle imprese. Le iniziative volte a favorire la crescita e la modernizzazione delle imprese si sono progressivamente affievolite anche per il prevalere dell’idea che si potesse fare a meno delle grandi imprese potendo contare sulla capacità competitiva dei sistemi di piccole imprese. Si è anche diffusa l’idea che la carenza di grandi imprese fosse connaturata alla nostra storia e alle nostre radici culturali. Non siamo forse il Paese delle piccole città e della grande tradizione artigiana? Associata a questa convinzione si è andata affermando l’idea che il nostro paese sia anche ‘storicamente’ portato per determinate produzioni piuttosto che altre. Queste convinzioni hanno un qualche fondamento ma sono in larga misura fuorvianti. Non vi è alcuna ragione per cui il nostro paese non possa competere in tutti i settori, compresi quelli ad alta tecnologia. Negli anni ‘70 eravamo all’avanguardia nell’elettronica e nell’informatica e fra i primi in Europa nell’automobile e negli elettrodomestici. Settori che all’epoca trainavano lo sviluppo delle tecnologie. Tuttora siamo fra i leader mondiali nelle macchine e nei sistemi di produzione. Riguadagnare terreno nei settori ad alta tecnologia sarà fondamentale per le prospettive di sviluppo dei prossimi decenni e ciò si accompagna necessariamente alla questione dimensionale delle imprese. È una questione aperta per l’intero paese e ancora di più per la nostra regione. Negli ultimi decenni sono state introdotte alcune misure per favorire la raccolta di capitale di rischio e la quotazione in borsa, ma i risultati sono stati modesti. Il tema della crescita e dei modelli di governance delle imprese è di fatto assente nelle agende della politica industriale e nemmeno menzionato nel Pnrr. Si tratta, invece, di un nodo fondamentale poiché la competitività del sistema manifatturiero dipenderà sempre più dalla presenza di un robusto sistema di medie e grandi imprese. Esse svolgono un ruolo insostituibile nei processi di innovazione e internazionalizzazione dai quali dipenderà la capacità di competere con successo sul mercato europeo e mondiale nei prossimi decenni.

* Economia all’Università Politecnica delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni

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Corriere Adriatico