Le disattenzioni aerospaziali su cui dovremmo riflettere

Le disattenzioni aerospaziali su cui dovremmo riflettere
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Dopo diversi rinvii causati dalle avverse condizioni meteo il giorno di Natale alle 13.20 ora italiana è stato lanciato dalla base dell’Esa (l’Agenzia Spaziale Europea) nella Guiana Francese il James Webb Space Telescope, il più potente telescopio spaziale fin qui realizzato, frutto della collaborazione fra la Nasa (l’ente spaziale degli Usa), l’Esa e l’Agenzia Spaziale Canadese. La data del lancio ha limitato la copertura mediatica di un evento che avrebbe meritato maggiore attenzione. Il progetto del James Webb Telescope, iniziato nel 1996 e costato circa 10 miliardi di dollari, è considerato una delle imprese spaziali di maggior interesse di questo secolo. Il telescopio orbiterà intorno al sole ad una distanza di circa un milione e mezzo di chilometri dal nostro pianeta. Da quella posizione potrà ‘guardare’ molto più in profondità il nostro universo fornendo informazioni che consentiranno di studiare in modo molto più approfondito di quanto finora possibile la sua struttura e i momenti iniziali della sua formazione. C’è grande attesa anche sulla possibilità che le sue osservazioni possano contribuire alla scoperta delle condizioni di vita sui pianeti che orbitano intorno ad altre stelle. L’importanza di questo progetto, come per altri progetti spaziali, risiede non solo nelle prospettive future di ricerca ma anche negli sviluppi della conoscenza scientifica e tecnologica necessari per portarli a termine. Il James Webb Space Telescope non fa eccezione poiché la sua realizzazione ha comportato la soluzione di una eccezionale quantità di sfide tecnologiche: sia per la costruzione del telescopio stesso sia per la sua messa in orbita. Alla soluzione di questi problemi hanno contribuito anche enti e aziende italiane: fra i partner del progetto figurano l’Inaf (l’Istituto Nazionale di Astrofisica) e le società Leonardo e Thales Alenia Space. È una presenza significativa anche se inferiore rispetto a quella di altri paesi europei e alle potenzialità dell’industria nazionale in questo settore. Lo sviluppo di tecnologie in ambito aerospaziale è, infatti, più diffuso nel nostro paese di quanto comunemente riconosciuto. Gli ambiti scientifici e tecnologici associati al settore aerospaziale sono considerati fra i più promettenti in termini di potenziali risultati e per questo gli investimenti pubblici e privati in questo settore sono in continua crescita. Le vicende del settore aerospaziale in Italia sono emblematiche della ‘disattenzione’ che la politica industriale del nostro paese, a livello nazionale e regionale, ha riservato negli ultimi decenni ai settori ad alta tecnologia. In molti di questi settori alla fine degli anni ’70 il nostro paese esprimeva posizioni di assoluto rilievo a livello mondiale: basta ricordare l’Olivetti nell’informatica o la Montedison nella chimica. Successivamente si è diffusa la convinzione che per il nostro paese sia preferibile puntare sui settori ‘tradizionali’ del Made in Italy (alimentare, moda, casa e la meccanica strumentale ad essi collegata) che a partire dagli anni ’80 hanno effettivamente rappresentato il grosso delle nostre esportazioni. È indubbio che si tratta di settori importanti per la nostra economia. E’ altrettanto indubbio che l’assenza di una strategia di politica industriale nei settori ad alta tecnologia ha portato ad una progressiva sottovalutazione dell’importanza della ricerca e della formazione avanzata. Con conseguenze che stiamo pagando da decenni in termini di capacità innovativa, competitività e possibilità di crescita. Il Pnrr può essere l’occasione per ripensare gli indirizzi di politica industriale verso un mix più equilibrato fra il sostegno ai settori tradizionali e lo sviluppo di quelli ad alta tecnologia. Non vi è ragione per cui il nostro paese non possa essere protagonista negli ambiti in cui si definisce la frontiera della ricerca e della tecnologia a livello mondiale. Anche nell’ambito della politica industriale si ha l’impressione che nel nostro paese prevalga lo sguardo al passato piuttosto che al futuro. Il richiamo al passato e alle radici storiche è importante ma dovrebbe servirci da base per proiettarci nel futuro e non da fardello che ci limita nelle scelte.

* Docente di Economia  alla Politecnica delle Marche  e coordinatore  Fondazione Merloni

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Corriere Adriatico