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Non c’è povero più umiliato di chi si vede sottratta la propria dignità. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo discorso di insediamento, aveva gettato come una spada nel mondo la tragedia individuale e collettiva del traffico di esseri umani. In questa settimana l’opinione pubblica è stata fortemente sollecitata a riflettere su questa terribile piaga. Martedì la Chiesa ha fatto memoria di santa Giuseppina Bakhita e celebrato la Giornata mondiale di preghiera contro la tratta di persone. Santa Bakhita, la suora sudanese che da bambina visse la drammatica esperienza di essere rapita e fatta schiava, è divenuta il simbolo universale dell’impegno della comunità ecclesiale contro la tratta. In occasione della Giornata si è realizzata una maratona di preghiera che ha coinvolto l’intero globo, dall’Oceania alle Americhe, attraverso una diretta streaming su internet con traduzioni in cinque lingue. Pregare per le vittime di tratta significa ribellarsi all’ingiustizia dell’indifferenza: nessuno può fingere di non sapere. Papa Francesco, nel recente colloquio alla televisione pubblica italiana, ha ribadito il diritto di essere perdonati, quindi coloro che infliggono l’inferno in terra alle più fragili delle creature si convertano e smettano di sfruttare e brutalizzare le nostre sorelle. Parliamo di un’emergenza planetaria - non affatto lontana dal nostro territorio - che deve interpellare la coscienza di ogni uomo o donna, per il suo carattere transnazionale. Bisogna partire dalle scuole, educare i giovani al rispetto dell’altro, far comprendere che dobbiamo schierarci al fianco di quanti subiscono soprusi e torture essendo privati della loro libertà e dignità. La Comunità Giovanni XXIII, continuando la battaglia del suo fondatore don Oreste Benzi, oltre all’impegno delle unità di strada e al rosario nei luoghi della prostituzione coatta, come quello recitato il sabato sera da 20 anni a Perugia, ha avviato nuovi team per occuparsi del fenomeno indoor, sempre con l’intento di incontrare le donne e proporre loro la liberazione dal racket. Tocca a ciascuno di noi testimoniare un modello sociale di ritorno alla vita sotto forma di redenzione e possibilità di riabilitazione. Gli aguzzini hanno la possibilità di rifarsi un’esistenza solo se riparano al male fatto, se intraprendono un sincero percorso di trasformazione che metta al centro il recupero di una dimensione etica finora calpestata. Stessa dinamica di allontanamento dal male deve riguardare i cosiddetti clienti del mercimonio, correi di un crimine contro l’umanità, complici di un olocausto silenzioso che si consuma ogni notte negli angoli bui della nostra coscienza sociale. Poi, ovviamente, il fulcro di questa ridefinizione socio-morale sono le vittime della tratta, coloro per le quali non esiste opportunità di rinascita senza una liberazione che reclama la nostra fattiva partecipazione.
* Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
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