Ho proposto di ricordare Evelyn Okodua, vittima della tratta finalizzata alla prostituzione coatta, avvelenata e bruciata in una frazione di Senigallia dove ancora oggi prolifera...
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Ma per fare questo dobbiamo ricordare che la causa dello sfruttamento delle donne a fini sessuali sono i cosiddetti “clienti”, ossia coloro che pensano di avere il diritto di acquistare giovani donne inermi. La filosofia contemporanea ci dimostra con chiarezza che il linguaggio fotografa la realtà. Merito quindi a chi, in consiglio comunale, ha voluto accogliere la nostra proposta di commemorare il martirio della più indifesa delle creature, alle cui esequie tutte le istituzioni civili e religiose resero omaggio in Cattedrale come atto pubblico di riparazione collettiva. Dalla morte di Evelyn non abbiamo mai smesso di combattere per strappare ai trafficanti di carne umana le donne crocifisse che al Giubileo dell’anno 2000 San Giovanni Paolo II volle benedire proprio in piazza San Pietro come «ostie viventi». La loro redenzione deve essere simbolo e monito per una società non più complice e connivente, ma finalmente accogliente, inclusiva e pronta a sostenere le umane privazioni di libertà, autodeterminazione, prospettiva di futuro. In tutto il territorio nazionale, la Giovanni XXIII, in occasione della giornata che ricorda i femminicidi e le violenze subite dall’universo femminile, porrà un pubblico segno di ricordo delle donne uccise dalla tratta del mercimonio coatto. Con questo gesto vogliamo ribadire a tutti che le vittime della prostituzione, resa dal feroce racket una moderna forma di schiavitù, sono esattamente sovrapponibili ai delitti commessi tra le mura domestiche e nel contesto familiare. Sarebbe utile a molti riprendere in mano il Vangelo per rileggere ciò che Gesù dice di coloro che creano scandalo ai piccoli, cioè alle creature più indifese, e che cosa replica ai benpensanti dell’epoca che lo rimproveravano perché frequentava peccatori e donne di malaffare: «Vi precederanno nel Regno dei Cieli». Se ne ricordino bene coloro che impropriamente vengono definiti “clienti”.
Nella prefazione al mio libro Donne Crocifisse, Papa Francesco chiarisce che l’unica maniera per combattere questa piaga è colpire la domanda come efficacemente avviene nell’Europa del nord attraverso normative mirate e funzionali. Disarmare Caino è l’unico per prendersi cura di Abele. Non si pensi di nascondere queste vittime come polvere sotto il tappeto, allo stesso modo in cui negli anni ’50 l’opinione pubblica considerava fastidiosi e rifiutava gli “ultimi” che don Benzi accompagnava. Non basta lavare il sangue da una strada per fingere che in quella fetta di cemento non sia stata spezzata una vita innocente.
*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico