La tragedia incompresa della morte di Evelyn. La tratta delle prostitute

La tragedia incompresa della morte di Evelyn

di don Aldo Buonaiuto
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Lunedì 28 Ottobre 2019, 10:53 - Ultimo aggiornamento: 10:54
Ho proposto di ricordare Evelyn Okodua, vittima della tratta finalizzata alla prostituzione coatta, avvelenata e bruciata in una frazione di Senigallia dove ancora oggi prolifera il mercimonio schiavizzato. In tutta Italia abbiamo ricevuto approvazioni per porre un ceppo commemorativo laddove la criminalità organizzata ha trucidato donne innocenti che volevano liberarsi dai loro spietati schiavisti. Sono rimasto stupito di aver letto proprio dalle cronache di Senigallia l’equiparazione della tragedia sociale della tratta ad una provocazione. E soprattutto mi ha addolorato l’appellativo di «prostituta», dato spregiativamente ad una vittima delle organizzazioni criminali che schiavizzano esseri umani innocenti. Perciò sottopongo all’attenzione di tutti alcune considerazioni. Innanzitutto, come ci ha ricordato più volte Papa Francesco, qualificare una persona per la condizione di asservimento alla quale è costretta rappresenta una violazione della sua dignità umana. Dalla vita trascorsa in strada accanto a quelle che il fondatore della mia comunità, don Oreste Benzi, insegnava a chiamare «le nostre sorelline», ho imparato ad amare e soccorrere senza giudicare farisaicamente coloro che sono in condizioni di assoggettamento e di privazioni di libertà. Vorrei mostrare a chi definisce «proposta indecente», quasi fosse un film, l’inferno dal quale abbiamo salvato ragazze mutilate, ridotte in fin di vita, ricattate nei loro affetti più cari, utilizzate come macchinette per riempire di soldi le casse di clan in competizione tra loro per dividersi le strade che noi vogliamo restituire ai cittadini.
Ma per fare questo dobbiamo ricordare che la causa dello sfruttamento delle donne a fini sessuali sono i cosiddetti “clienti”, ossia coloro che pensano di avere il diritto di acquistare giovani donne inermi. La filosofia contemporanea ci dimostra con chiarezza che il linguaggio fotografa la realtà. Merito quindi a chi, in consiglio comunale, ha voluto accogliere la nostra proposta di commemorare il martirio della più indifesa delle creature, alle cui esequie tutte le istituzioni civili e religiose resero omaggio in Cattedrale come atto pubblico di riparazione collettiva. Dalla morte di Evelyn non abbiamo mai smesso di combattere per strappare ai trafficanti di carne umana le donne crocifisse che al Giubileo dell’anno 2000 San Giovanni Paolo II volle benedire proprio in piazza San Pietro come «ostie viventi». La loro redenzione deve essere simbolo e monito per una società non più complice e connivente, ma finalmente accogliente, inclusiva e pronta a sostenere le umane privazioni di libertà, autodeterminazione, prospettiva di futuro. In tutto il territorio nazionale, la Giovanni XXIII, in occasione della giornata che ricorda i femminicidi e le violenze subite dall’universo femminile, porrà un pubblico segno di ricordo delle donne uccise dalla tratta del mercimonio coatto. Con questo gesto vogliamo ribadire a tutti che le vittime della prostituzione, resa dal feroce racket una moderna forma di schiavitù, sono esattamente sovrapponibili ai delitti commessi tra le mura domestiche e nel contesto familiare. Sarebbe utile a molti riprendere in mano il Vangelo per rileggere ciò che Gesù dice di coloro che creano scandalo ai piccoli, cioè alle creature più indifese, e che cosa replica ai benpensanti dell’epoca che lo rimproveravano perché frequentava peccatori e donne di malaffare: «Vi precederanno nel Regno dei Cieli». Se ne ricordino bene coloro che impropriamente vengono definiti “clienti”.
Nella prefazione al mio libro Donne Crocifisse, Papa Francesco chiarisce che l’unica maniera per combattere questa piaga è colpire la domanda come efficacemente avviene nell’Europa del nord attraverso normative mirate e funzionali. Disarmare Caino è l’unico per prendersi cura di Abele. Non si pensi di nascondere queste vittime come polvere sotto il tappeto, allo stesso modo in cui negli anni ’50 l’opinione pubblica considerava fastidiosi e rifiutava gli “ultimi” che don Benzi accompagnava. Non basta lavare il sangue da una strada per fingere che in quella fetta di cemento non sia stata spezzata una vita innocente.
*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
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