Non è sempre facile il percorso scuola-famiglia. Ancora più difficile diventa quando in mezzo ci si mette la mancanza di comunicazione. Un silenzio che può...
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Al suo rientro a scuola, però, verso metà ottobre, inizia a disturbare in classe. Fino a quando, lo scorso lunedì, non viene ammesso in aula e «un’insegnante – racconta sempre la mamma – lo porta in un’altra classe su decisione della preside e lì segue le lezioni da solo». Angelo fa la 4° elementare a Teramo e quella decisione i suoi genitori proprio non l’hanno capita. «Ammesso che io sia accecata da mamma, la preside avrebbe dovuto avvisarmi e non umiliare in questo modo mio figlio davanti ai compagni. Poteva dirmelo e io lo avrei preparato mio figlio. Invece di rassicurarlo, lo hanno isolato».
Dal canto suo la preside dell’Istituto dice: «Non me la sento di esprimere alcun parere. Lascio la facoltà alla madre del bambino di esprime il suo pensiero. Ci sono altre autorità preposte che dovranno intervenire. Qualora avessi sbagliato, ne risponderò. Al bambino non ho mai impedito di entrare a scuola». A scuola non di certo. Ad Angelo, però, è stato impedito di entrare in classe, nella sua aula di studi. La domanda che attanaglia i genitori è come sia stato possibile prendere una simile decisione in autonomia, senza neanche consultarli? Forse la preside avrà avuto anche i suoi motivi, ma non esiste l’integrazione? Lo scorso 9 gennaio a casa del bambino si presentarono gli assistenti sociali chiamati dalla scuola che constatarono come Angelo fosse seguito da psicologi e quant’altro con un appuntamento a breve da un altro dottore della Asl. E’ il 19 gennaio quando la mamma del bambino, durante il lavoro viene chiamata per andare subito a scuola a riprendere il figlio: si sta comportando di nuovo male. Quando lei arriva c’è un’ambulanza del 118 con un lettino al piano di sotto. Angelo le chiede: «Mamma ma mi legano, mi fanno la puntura?» Poco dopo arriva anche la Polizia. Sul referto medico si legge: «Riferito stato di agitazione. Al momento dell’intervento il paziente non presenta segni di agitazione». Quel paziente è il piccolo Angelo. «Noi abbiamo altri figli e io non posso perdere il lavoro», si sfoga la mamma con il fiato spezzato. La consapevolezza della morte per Angelo o il terremoto che ha scosso la città sono eventi che hanno traumatizzato tanti bambini. Ma non per questo bisogna colpevolizzarli. Della vicenda comunque i genitori hanno informato il Provveditorato agli studi dell’Aquila. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico