MILANO - Per gli investigatori della Digos era un fantasma, un marocchino tra tanti senza alcuna storia criminale. A settembre una fonte confidenziale ha fatto il nome di Nadir...
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«Sono certi i suoi legami con una cellula di 25 foreign fighters partiti tra il 2012 e il 2014 dalla Germania per combattere con il Califfato, l’ha conosciuta in quegli anni durante la sua permanenza nel Paese - ha continuato Claudio Ciccimarra, dirigente della Digos - è rimasto in contatto con due cugini a capo della brigata da quando è tornato in Italia, ha manifestato in più occasioni la sua disponibilità a combattere per la causa dell’Isis ma ha sempre chiesto un supporto tecnico, come armi, e logistico. Non ci risulta che questi inviti siano stati ascoltati».
Benchorfi, 30 anni, vive in Italia da quando ne aveva 12, è ben integrato, viveva in via Tracia, in quella zona del quartiere San Siro che da tempo è considerata un’area “difficile” anche per il rischio di infiltrazione terroristica. Nonostante sia un elettricista, da anni lavora nei centri commerciali lombardi come aiuto cuoco e questo ha aperto all’ipotesi che l’eventuale attentato potesse avvenire proprio in una struttura di questo tipo. Non ci sono, tuttavia, conferme su questo particolare aspetto.
Gli investigatori hanno monitorato alcune applicazioni di messaggistica tra cui Telegram, la preferita dai jihadisti per il suo alto livello di protezione, ma le indagini si sono avvalse anche di intercettazioni e monitoraggio dei flussi economici. «Il sospettato riceveva le indicazioni per l’invio di soldi a combattenti, per lo più foreign fighters, attraverso money transfer - spiega Ciccimarra - versamenti da 50 a 600 euro per volta e in diversi Paesi africani e mediorientali. In totale ci risultano 6mila euro di rimesse». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico