I neonati piangono con l'accento materno: lo dimostra uno studio antropologico

I neonati piangono con l'accento materno: lo dimostra uno studio antropologico
WURZBURG - L'accento, si sa, identifica le nostre origini. In giro per l'Italia come all'estero, è spesso fin troppo facile far notare ai nostri interlocutori...

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WURZBURG - L'accento, si sa, identifica le nostre origini. In giro per l'Italia come all'estero, è spesso fin troppo facile far notare ai nostri interlocutori il luogo di provenienza. È qualcosa che, d'altronde, la persona inizia ad assimilare nel momento in cui inizia a parlare. Ma siamo davvero sicuri che l'accento sia una conseguenza del linguaggio?


Secondo Kathleen Wermke, docente di antropologia linguistica presso l'università tedesca di Würzburg, non sarebbe così. Un suo recente studio avrebbe infatti dimostrato che già il pianto dei neonati presenta tratti in comune con l'accento materno. Secondo l'equipe diretta dalla donna, l'assimilazione avverrebbe già nell'utero, negli ultimi tre mesi di gestazione. Ancora prima di nascere, quindi, il bambino interiorizzerebbe le caratteristiche sonore della lingua della mamma, come il ritmo e la melodia, e per questo motivo ne assimilerebbe l'accento.
 


A supporto di questa tesi c'è un lungo studio sul pianto di neonati provenienti da diverse zone geografiche. Il pianto dei bambini asiatici e africani, ad esempio, è molto più melodico e prolungato di quello dei bambini europei, perché nelle lingue extraeuropee i toni gravi ed acuti determinano il significato delle parole. E non serve neanche andare troppo lontano per individuare questa particolare relazione tra pianto e linguaggio. Sette anni fa, uno studio su trenta bebè tedeschi e altrettanti francesi, tutti provenienti da famiglia monolingua, aveva messo in risalto come i neonati transalpini piangessero secondo una curva melodica ascendente, a differenza di quelli tedeschi che passavano da suoni più acuti ad altri più gravi.


Secondo gli studi condotti dai ricercatori tedeschi, il pianto potrebbe essere fondamentale per individuare eventuali disturbi del linguaggio ancora prima che il bambino inizi a parlare. Sono però gli stessi membri dell'equipe a parlare al condizionale: “Il linguaggio è troppo influenzabile da fattori esterni, specialmente quelli sociali”. Ad ogni modo, diverse possibilità di studio sembrerebbero aprirsi all'orizzonte. La stessa dottoressa Wermke, però, avverte: “Non cominciate a parlare in continuazione alla pancia delle donne incinte, non serve a niente. Le voci esterne difficilmente possono essere avvertite dal nascituro, l'unica voce che sentono forte e chiara nell'utero è proprio quella materna”. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico