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Gaya Calderon era a casa a Tel Aviv sabato mattina quando è iniziato l'assalto di Hamas. La sua famiglia, invece, era nel kibbutz Nir Oz, vicino alla Striscia di Gaza. In una drammatica sequenza di messaggini sul telefono, Gaya ha di fatto vissuto in diretta il sequestro del suo fratellino Erez, di 12 anni. Ma non solo: Da allora, racconta, «non so dove siano mia sorella, mio padre, mia nonna e mio cugino. Non sono stati trovati».
Il rapimento al telefono
Il dramma è iniziato quando un suo amico le ha telefonato e le ha detto: «Ehi, lo sai che Hamas e la Jihad islamica sono nel kibbutz?».
«Credo che questa sia la fine»
La madre, che vive in un'altra abitazione dello stesso kibbutz, a sua volta le ha scritto: «Gaya, ho sentito degli spari, credo che questa sia la fine». Lei è sopravvissuta. Quando i miliziani sono entrati nella sua casa, lei si è attaccata con tutte le forze alla maniglia della stanza in cui si era rinchiusa impedendo loro di aprirla. Anche suo fratello di 18 anni, che vive nel kibbutz, è sopravvissuto. La sua casa è stata distrutta e in parte incendiata. Ma «mio fratello Erez era in un video, un terrorista lo stava afferrando e trattenendo. Non ho visto sangue su di lui, quindi posso solo sperare che stia bene». Degli altri nessuna notizia. Ora, dice Gaya, «resto a casa e piango tutto il giorno, sono impotente», ma, aggiunge, «ho fiducia nel mio Paese. Voglio riavere la mia famiglia. Aiutateci per favore».
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Corriere Adriatico