Anche le innocue emoji, evoluzione digitale delle emoticon, possono finire in un'aula di tribunale. Negli Stati Uniti sono in crescita i processi, dove gli avvocati portano...
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Della questione si sta occupando da tempo, Eric Goldman, professore di legge all'Università di Santa Clara, secondo il quale dal 2004 al 2019, si è passati da numeri irrisori a circa 50 casi l'anno, con una crescita del 30% solo nell'ultimo anno.
Ed i reati in cui le emoji verrebbero portati come prove in aula, vanno dai semplici furti ai casi di abusi sessuali, stalking e persino omicidi. Per fare un esempio. Uno scambio di messaggi, in cui un uomo (accusato di gestire un giro di escort) scrive ad una donna “Il lavoro di squadra consente di raggiungere ogni sogno", con le emoji di una scarpa col tacco a spillo e un sacchetto di denaro, sarebbero un invito alla prostituzione.
Oppure, lo studio statistico del professor Goldman, ha evidenziato che un omicidio viene spesso preceduto da messaggi minatori con emoji incluse. L'ambiguità nell'interpretazione dei fatti è evidente, e la stessa difficoltà viene provata anche da chi deve emettere una condanna o un'assoluzione basandosi, non unicamente, ma anche su tali elementi. Che sono quindi dei segnali di un'intenzione.
In un altro caso, una coppia di israeliani è stata condannata a pagare l'affitto di una casa, perché le icone festose inviate al proprietario, tra cui una bottiglia di champagne, sono state considerate come un segno di accettazione della proposta economica. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico