Coronavirus imprese e sindacati nel caos, senza avere risposte certe da dare né ai lavoratori né ai datori di lavoro. Né tantomeno al mondo...
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In una giornata segnata da più bozze e più liste in circolazione, le imprese, per voce del presidente di Confindsutria Boccia hanno esplicitamente chiesto più tempo, almeno per riuscire a consegnare la merce già pronta in magazzino, per mandare al minimo gli impianti che non possono essere chiusi, per organizzare laddove si può lo smart working e per capire quali tutele garantire ai propri lavoratori. Una risposta che poi è arrivata con la previsione che si possano completare «le attività necessarie alla sospensione entro il 25 marzo».
Le aziende, aveva scritto in una lunga lettera a Conte Boccia, stanno «affrontando con responsabilità» questo passaggio drammatico ma bisogna soppesare bene gli interventi, non si può chiudere tutto: va bene individuare le attività strettamente necessarie ma le filiere, è il ragionamento degli industriali, sono strettamente interconnesse e il rischio è che nello stilare una lista per codici Ateco (cioè i numeri che identificano le varie attività nei rapporti con la pubblica amministrazione, a partire dall'Agenzia delle Entrate) vengano lasciate fuori fabbriche o società di servizi essenziali proprio per produrre beni alimentari o medico-sanitari.
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Questi settori sono tra quelli strategici esclusi dalla stretta, insieme al comparto dei trasporti, ma anche della filiera petrolifera o della plastica. Ma nel centinaio di voci iniziali erano spuntate anche i codici 24 e 25, cioè «metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo» che avevano messo in agitazione i sindacati perché, includerle, di fatto, avrebbe significato lasciare aperto «il 70% delle imprese metalmeccaniche».
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Molte industrie, soprattutto le più grandi, in realtà hanno già deciso in autonomia di chiudere i battenti o di ridurre al minimo le attività: da Fca, che ha fermato quasi tutti gli stabilimenti, all'ex Ilva gestita da ArcelorMittal che ha ridotto a 3.800 le presenze degli operai (ma essendo a ciclo continuo non si può permettere la chiusura e, proprio per questo motivo, risultano tra quelle esentate), fino a Luxottica che ha deciso di fermarsi già a partire da domani. Tra i nodi ancora da risolvere, osserva però la Cna, quella delle imprese che stanno avviando la riconversione per produrre mascherine e gli altri dispositivi di protezione che al momento scarseggiano sul mercato e che, al momento, non hanno quindi un codice Ateco.
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Corriere Adriatico