La ricerca: cellule staminali umane potrebbero curare l'alcolismo

La ricerca: cellule staminali umane potrebbero curare l'alcolismo
Una semplice iniezione di cellule staminali umane potrebbe essere la soluzione per i disturbi legati all'abuso di alcol: lo suggerisce uno studio dell'Università...

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Una semplice iniezione di cellule staminali umane potrebbe essere la soluzione per i disturbi legati all'abuso di alcol: lo suggerisce uno studio dell'Università del Cile a Santiago condotto sui topi e pubblicato sulla rivista Scientific Reports. I ricercatori guidati da Yedy Israel hanno scoperto che il trattamento ha significativamente ridotto i comportamenti associati all'alcolismo e anche l'infiammazione cronica che ne deriva.


Cellule staminali, ringiovanite ovaie di due donne in menopausa precoce

In un primo esperimento gli autori dello studio hanno iniettato cellule staminali umane in ratti che avevano assunto alcol per 17 settimane senza forzature (gli animali sono stati lasciati liberi di scegliere tra alcol e acqua). Entro 24 ore dall'iniezione i ratti bevevano dall'88% al 93% meno alcol, ma molta più acqua degli animali di controllo. Gli effetti erano ancora osservabili dopo tre settimane, suggerendo che il trattamento avesse avuto un effetto terapeutico.

In un altro esperimento i ricercatori hanno fatto una singola iniezione di cellule staminali a ratti che avevano bevuto alcol per 14 settimane, prima di indurre un effetto di deprivazione impedendogli di bere per 14 giorni. Al termine di questo periodo è stato dato agli animali libero accesso all'alcol per 60 minuti: l'ingestione di grandi quantità di alcol in breve tempo, un comportamento che si osserva normalmente anche negli esseri umani dopo un periodo di astinenza, si era ridotto del 75-80%.

Per poter usare la tecnica poco invasiva dell'iniezione intravenosa, i ricercatori hanno coltivato le cellule staminali in un ambiente 3D, che le ha rese il 75% più piccole di quelle coltivate in un ambiente 2D come una piastra. In questo modo le cellule staminali riescono ad attraversare la barriera emato-encefalica che circonda il cervello, evitando di dover ricorrere all'iniezione direttamente nel fluido cerebrospinale, una procedura molto più invasiva. 
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Corriere Adriatico