Video e computer da riciclare: un bluff Venti indagati e discarica sequestrata

Video e computer da riciclare: un bluff Venti indagati e discarica sequestrata
AGUGLIANO - Mai avrebbe immaginato Ermete Realacci, nume tutelare dell’ambientalismo italiano, che dietro l’outlet degli elettrodomestici usati che stava inaugurando...

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AGUGLIANO - Mai avrebbe immaginato Ermete Realacci, nume tutelare dell’ambientalismo italiano, che dietro l’outlet degli elettrodomestici usati che stava inaugurando il 9 maggio 2015 a Camerata Picena, poteva operare in realtà un’azienda coinvolta in un traffico illecito di rifiuti nel settore delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Un business scoperto dai carabinieri forestali di Ancona con l’operazione “Raehell”, dalla sigla di quel tipo di rifiuti (Raee) combinata con la parola inferno in inglese. Sorprendente metamorfosi, visto che la Adriatica Green Power di contrada Molino 9 ad Agugliano con il suo progetto “Second Life Italia”, varato per rimettere sul mercato tv e lavatrici rigenerate, aveva convinto partner qualificati come Legambiente (che ora plaude alla magistratura e parla di «pseudo imprenditori furbetti che inquinano l’economia circolare») e Fondazione Symbola, che in assoluta buona fede diedero il buon viatico all’iniziativa, e stipulato convenzioni con diversi Comuni, con il consorzio Cosmari e il Coni Marche. 


 

Si scopre ora, dopo che l’Adriatica Green Power è fallita nel gennaio 2018 e il suo centro del riuso naufragato, che la ditta di Agugliano, collegata alla riminese Energo Logistic Spa di San Giovanni in Marignano, aveva accumulato per sei anni nel proprio deposito di contrada Molino 10mila tonnellate di rifiuti pericolosi prodotti dalla frantumazione dei monitor di computer e televisori a tubo catodico ritirati a domicilio dall’azienda riminese (dietro compenso) grazie a un accordo con la grande distribuzione. Avrebbe dovuto depurarli dalle sostanze tossiche contenute negli schermi e nei tubi catodici (bario, polveri fluorescenti e di piombo) e poi smaltirli in discarica, con un costo stimato ora in un milione e 100mila euro. Invece negli ultimi sei anni - dal 2012, quando vecchi monitor e schermi furono rimpiazzati da plasma e Lcd - quegli scarti di tecnologia, frantumati con macchinari o a colpi di mazza, si sono accumulati all’esterno del capannone che l’Adriatica Green Power condivideva con un’altra ditta del tutto estranea ai traffici illeciti.

In quell’area, sottoposta a tutela paesaggistica per la presenza di un torrente nelle vicinanze, li hanno scoperti nel luglio 2017 i carabinieri forestali di Ancona, dando il via a un’inchiesta del Nucleo investigativo di polizia ambientale, guidato dal maggiore Simone Cecchini, che ha portato la Procura distrettuale antimafia di Ancona, competente per i reati più gravi in materia di ecobusiness, a chiedere svariate misure cautelari per associazione a delinquere, attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti speciali e falso in atto pubblico. Il Gip ha concesso solo quattro misure cautelari personali - anche se gli indagati sono in tutto 20, tra le province di Rimini, Ancona e Arezzo - ravvisando il pericolo di reiterazione del reato solo per l’ultima impresa (una ditta aretina) ancora attiva nell’impianto di recupero di Agugliano dopo che Energo Logistic e Adriatica Green Power avevano ceduto l’attività (secondo la Procura brigando per un fallimento pilotato per non pagare lo smaltimento dei rifiuti accumulati) con un fitto di ramo d’azienda. Prima, nel novembre 2016, il business degli schermi frantumati era passato alla Company Business Work di Marco Maracci, sede a Monsano, che avrebbe stoccato altre mille tonnellate di rifiuti in un’area in via del Consorzio 6 a Falconara, sequestrata in un filone che vede tre indagati, tutti della provincia di Ancona. Infine, nel 2017, erano subentrati gli imprenditori di Arezzo, tentando di rinnovare il business puntando sulle schede elettroniche. Ai domiciliari, su richiesta del pm Paolo Gubinelli, è finito un imprenditore aretino di 34 anni (S. G.) domiciliato a Lucca, mentre per altri due soci (R.B. e M.B., 68 e 66 anni) è scattato l’obbligo di dimora e per un quarto (P.C., 56 anni) il divieto di ricoprire cariche societarie per un anno.


Ma per altri indagati, che hanno promosso il business portandolo avanti fino al 2016, il Gip ha disposto un sequestro di beni per un totale di 3.190.000 euro. Sono stati bloccati circa 40 conti correnti bancari e postali(si vedrà poi quanto c’è dentro) intestati a due società e quattro persone: Francesco Pavolucci, 36enne di Bellaria, amministratore della Energo Logistica; Dennis Ceccoli, riminese di 46 anni, direttore finanze di Energo e poi amministratore unico di AGP Spa; e gli aguglianesi Simone Brunetti e il padre Bruno, 44 e 67 anni, rispettivamente direttore generale di AGP Spa e responsabile dell’impianto di riciclo. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico