SENIGALLIA Dodici denunce per percosse e minacce cadute nel vuoto. Un femminicidio annunciato quello di Marianna Manduca, accoltellata dal marito che la Procura di Caltagirone non...
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Somma che dovrà risarcire la presidenza del Consiglio dei ministri. Una sentenza destinata a fare giurisprudenza che potrà, si spera, salvare altre donne. Non è stato così per Marianna Manduca, geometra 32enne che, dopo aver sopportato per anni le violenze domestiche del marito Saverio Nolfo, lo ha denunciato. dodici volte, ma nessuno l’ha ascoltata. Negli ultimi sei mesi di vita ha chiesto aiuto ripetutamente. «Aiutatemi, mi ha minacciato con un coltello, non so più cosa fare». Era stato uno dei suoi ultimi disperati appelli.
Gli episodi venivano registrati come liti familiari. Più di tanto non sembravano allarmare la Procura finchè dalle parole si è passati ai fatti. Saverio Nolfo è stato arrestato e condannato a venti anni di reclusione ma ha dovuto prima uccidere la moglie. La donna aveva avuto il coraggio di lasciare il marito che, in un primo momento, aveva ottenuto la custodia dei tre figli minorenni nonostante fosse nullatenente e tossicodipendente. Poi erano stati affidati alla madre che stava attendendo la sentenza definitiva per potersi trasferire con loro a Milano, presso alcuni parenti. Pochi giorni prima a Palagonia, nel catanese, dove vivevano è stata tamponata dall’ex marito che l’aveva costretta a fermarsi e uscire dall’auto. Gli ultimi istanti di vita, finita dopo sei coltellate al petto e all’addome. Nell’agguato era rimasto ferito anche il padre della donna, che aveva tentato invano di difenderla. Saverio Nolfo era andato a costituirsi consegnando anche il coltello. L’arma del delitto che la vittima conosceva bene. «Con questo coltello ti ucciderò», le ripeteva spesso. Lei lo aveva detto ai pm che adesso, per non averla ascoltata e aver lasciato il 36enne libero di ucciderla, sono stati condannati. Marianna Manduca era stata ripetutamente picchiata in pubblico prima dell’omicidio. Anche con una sedia. L’ultimo episodio prima di andarsene di casa per il bene suo e dei figli. I tre minori che oggi hanno 12, 14 e 15 anni vivono a Senigallia con un lontano cugino della madre, Carmelo Calì. È stato lui a presentare ricorso affinchè gli orfani, di cui è tutore, potessero ottenere giustizia appellandosi ad una legge del 1988 che stabilisce responsabilità civili per i magistrati.
La famiglia ha sempre creduto che Marianna si sarebbe potuta salvare se qualcuno avesse fermato il marito. Le donne vittime di violenza vengono sempre invitate a denunciare e così ha fatto lei, sapeva che la situazione sarebbe precipitata ma aveva fiducia nella giustizia. Era certa che lo Stato l’avrebbe tutelata contro quell’uomo che l’ha prima minacciata di morte e poi uccisa. Oggi, a dieci anni dalla sua morte, l’inerzia dei pm è stata punita. Non servirà a riportare in vita la giovane mamma ma forse potrà accelerare i tempi della giustizia e portare altri magistrati ad intervenire tempestivamente, scongiurando nuovi femminicidi che troppo spesso sono morti annunciate.
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Corriere Adriatico