Karim, da Senigallia a Kobane "Io ero l'unico italiano contro l'Isis"

Karim, da Senigallia a Kobane "Io ero l'unico italiano contro l'Isis"
SENIGALLIA - Una iniziativa che aveva fatto discutere e che aveva acceso un ampio confronto. «Ero andato a Kobane con un progetto umanitario, per fare controinformazione. Poi in...

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SENIGALLIA - Una iniziativa che aveva fatto discutere e che aveva acceso un ampio confronto. «Ero andato a Kobane con un progetto umanitario, per fare controinformazione. Poi in un villaggio a due chilometri dalla città, ho visto la tragedia e ho pensato che avessero bisogno di un aiuto ancora più consistente di quello umanitario. Mi sono confrontato con la gente, ho visto molti bambini soldato, alcuni di loro morti combattendo per la libertà di Kobane: ho deciso che dovevo fare di più».




È il racconto di Karim Franceschi, 25 anni, padre italiano e madre marocchina, appena rientrato dal Kurdistan iracheno, dove, «unico italiano», ha combattuto come volontario contro l'Isis, a fianco dei curdi. Partito tre mesi fa, Franceschi è appena tornato a casa a Senigallia. Nel centro sociale 'Arvultura', ha incontrato i giornalisti per raccontare la sua avventura. «A Kobane sono dovuto entrare illegalmente - spiega Karim - perchè il governo rende impossibile portare aiuti. Sono entrato illegalmente, così come sono uscito in maniera clandestina. Ho trovato una città in rovina, che poteva crollare da un momento all'altro; gente difesa solo da una linea. Ero volontario, ho fatto quattro giorni di addestramento e sono andato in prima linea. Ma avevo un obiettivo: combattere per salvare l'esperimento politico di Kobane, basato sull'autonomia democratica, un esperimento che si richiama a costituzioni europee. In quella enclave convivono fedi religiose diverse e viene riconosciuto il ruolo della donna. Tutte le minoranze sono rispettate e vantano i medesimi diritti. È proprio questo modello che l'Isis vuole abbattere».



«Kobane non è libera e la guerra non è finita» dice ancora Karim. «Non sarà liberata appieno fino a che il Califfato non sarà vinto. Ci sono territori ancora sotto il controllo dell'Isis. Ho assistito ad un attacco devastante con 16 morti e 30 feriti. L'arma più forte del Califfato è la propaganda, ed è quella che arriva prima ancora degli integralisti islamici». «C'è bisogno di una forte spinta da parte di tutti gli Stati del mondo, Italia compresa, per proteggere questa comunità». Franceschi spiega che «centomila abitanti sono tornati nella città, ma lì non c'è più niente. Possiamo mandare aiuti sanitari ed umanitari, possiamo contribuire alla ricostruzione se proprio il Governo italiano non intende intervenire con le armi».



«Io sono stato l'unico italiano a combattere l'Isis, mentre sono molti quelli che vanno a combattere a fianco dei miliziani islamici insieme ad altri giovani europei e da tutto il mondo, richiamati da una forte propaganda». «In prima linea - prosegue nel racconto - si combatteva tutto il giorno, a parte le pause per mangiare quello che c'era, e per dormire. Ho visto alcuni miei compagni cadere. È stato un periodo molto duro, anche perchè sapevamo quello che c'era attorno a noi, ed eravamo consapevoli del rischio che correvamo. Ognuno di noi aveva con sè una granata pronta ad esplodere nel caso venissimo fatti prigionieri dall'Isis». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico