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JESI - Vernice rosso sangue sui fori del muro di via delle Orfane. Fori che sono di proiettile: qui l’8 e 9 febbraio del 1944 il plotone d’esecuzione fascista fucilò i partigiani Armando Magnani e Primo Panti. Da allora ne restano i segni, coperti di colore da mani ignote alla vigilia del 25 aprile e della ricorrenza della Liberazione.
Di vernice rossa ce n’è anche sotto la lapide che ricorda i fatti. Tracce che nel pomeriggio del 24 aprile, quando Anpi, Associazioni Combattentistiche e d’Arma e cittadini hanno effettuato il tradizionale passaggio fra cippi e luoghi della Memoria per deporre corone di alloro, non c’erano. Non si notano altri segni o scritte.
A segnalare l’episodio è stata Rosalba Cesini, già consigliera comunale e deputata e oggi componente il direttivo jesino dell’Anpi.
«A che serve, che ne penserebbero le vittime o la concittadina onoraria Liliana Segre? – chiede Cesini - La si restauri solo inquadrandola nel contesto dei crimini commessi dal fascismo a Jesi». E poi, nell’elencare episodi di intolleranza, la denuncia: «Anche stamattina abbiamo trovato imbrattato il punto della fucilazione dei partigiani Magnani e Panti. Oltre ad essere stato strappato un manifesto davanti alla nostra sede di via Tessitori».
Il muro e gli eventi di via delle Orfane pochi giorni fa erano stati portati all’attenzione nazionale dal settimanale Famiglia Cristiana che, prendendo spunto dal libro “Storie di bombe e di sogni” scritto dal giornalista jesino Luca Angelucci, ha raccolto i ricordi di bambino in tempo di guerra di Aldo Mancini, 87enne padre del Ct della Nazionale di calcio, Roberto. Fra questi, proprio i terribili attimi delle esecuzioni di Magnani e Panti, viste da Aldo coi suoi occhi. «Magnani – il suo racconto a Famiglia Cristiana - aveva poco più di 50 anni. Io, con due miei amici, mi ero nascosto dietro a una recinzione. Il comandante del plotone di esecuzione fascista gli intimò di voltarsi contro il muro. Ma lui non accettò: “Datemi una sigaretta e dopo sparatemi nel petto!”. Lo accontentarono. Fumò e poi sentimmo gli spari. Lui si accasciò e lo lasciarono lì fino a sera, sotto la pioggia. La mattina dopo, davanti allo stesso muro, gli stessi aguzzini replicarono la scena con un muratore e partigiano di trent’anni, Panti. E io con i miei due amici eravamo di nuovo lì. Non avevamo paura, ci eravamo abituati a vedere scene atroci».
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Corriere Adriatico