«I miei 72 giorni in rianimazione tra nozze rinviate e 30 chili persi». Francesco è l’ultimo paziente ex Covid dimesso dall’Urbani. La chiamata del Papa

«I miei 72 giorni in rianimazione tra nozze rinviate e 30 chili persi» .Francesco è l’ultimo paziente ex Covid dimesso dall’Urbani. La chiamata del Papa
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JESI -  I 39° di febbre e i ricordi che si fermano all’ospedale di Urbino per ricomparire solo dopo 72 giorni di terapia intensiva, al passaggio in broncopneumologia al Carlo Urbani di Jesi. I 30 chili persi e gli strascichi da superare per poter parlare e mangiare come prima. Il pezzetto di torta e normalità riassaggiato per i 34 anni. Le nozze con Gioia che si sarebbero dovute fare il 1 giugno- «ci saranno più avanti» - e la chiamata di Papa Francesco, colpito dalla storia di una giovane coppia divisa dal Covid e isolata: lui in ospedale, lei nell’appartamento che sarebbe dovuta essere la loro casa. Un ospedale intero che lo ha curato, accudito, ha tifato per lui. E ieri l’ha benevolmente spinto fuori.


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Francesco Foschi, ingegnere civile di Montelabbate, alle porte di Pesaro, era l’ultimo paziente ex Covid ancora all’Urbani. Una storia, la sua, che è un grazie. «A tutto il personale medico, gli infermieri, gli oss che mi hanno assistito- racconta Francesco- per la professionalità e l’umanità. Sono stati per mesi gli unici che ho potuto vedere, grazie per questa assistenza umana». 

Ma la sua vicenda, al ritorno “fuori” dove c’è pure chi sostiene che nulla sia accaduto davvero, è altro. «Purtroppo per me- dice Francesco- anch’io ero di quelli che prima pensava che in fondo fosse poco più di un’influenza. A mie spese mi sono accorto che non è così. La malattia c’è, esiste. E spero nessun altro debba viverla. Non è bello a 34 anni non poter mangiare e parlar bene. E sono fortunato, ne sono fuori. State attenti: no, non è uno scherzo». Ha seguito e sta seguendo, Francesco, un percorso di neuroriabilitazione, logopedia, fisioterapia. La malattia, spiegano, ha lasciato ad ora la paralisi di alcuni nervi cranici che comporta difficoltà a deglutire e alle corde vocali. Per questo lui parla a bassa voce e, dopo un primo parziale tentativo, non può ancora mangiare in maniera autonoma. «Ero in salute e sovrappeso, facevo nuoto master. Non so come ho preso il Covid- dice - non sono stato né a partite né a eventi. Dopo una cena con amici, la febbre alta. Dopo 5-6 giorni, su insistenza della mia ragazza e consultato il sostituto del mio medico, la richiesta di una lastra urgente. Ad Urbino, Pesaro era già saturo. Da lì il trasporto in ospedale, non sapevo neanche quale. E si ferma tutto, non so più nulla. Se non i flash di qualche videochiamata coi familiari e il risveglio a Jesi». Ricovero all’Urbani il 15 marzo, intubato in rianimazione ad un paio d’ore dall’arrivo.

La coscienza piena che riappare all’uscita dalla terapia intensiva. «Gioia ha avuto febbre bassa e nessun tampone, è rimasta isolata nella nostra casa e col test ha visto di aver avuto anche lei il Covid. Dei miei familiari non si sa, non hanno avuto sintomi. Ora andrò a convivere con Gioia e li rivedrò. Hanno tanto sofferto mentre ero in coma».

Per il compleanno, il 30 giugno, il permesso di una breve uscita in città, coi familiari e «un fisioterapista che ha avuto la cortesia di venire». Lo salutano affetto e lacrime di un ospedale di cui è stato figlio e fratello. «Siate il più attenti possibile- dice Francesco- usate la mascherina, per rispetto degli altri».  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico