GENGA - Intuito, perseveranza e tanto coraggio. È il segreto della scoperta di tre speleologi marchigiani del Club Alpino Italiano di Jesi che, dopo un anno di...
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Un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo. Tutto il merito è degli speleologi Amedeo Grifoni, Antonio Piazza e Luca Pieroni che, con la benedizione dell’Ente Parco, hanno per un anno intero, perlustrato la Grotta Bella convinti che seppur conosciuta da decenni celasse segreti. «Se è vero che le sale e le condotte della Grotta Bella - spiegano - sono mappate è altrettanto vero che non sono state abbastanza esplorate. Le si poteva raggiungere solo oltrepassando passaggi strettissimi ed immergendosi in freddi sifoni di acque sulfuree. Questo ha consentito di preservare la bellezza e il contenuto di rarità scientifiche degli ambienti». I tre a forza di esplorare hanno individuato una massa di detriti.
«Un cumulo provocato da una frana sicuramente risalente all’ultimo periodo interglaciale, dunque circa 10-12 mila anni fa, che ha interrotto il passaggio tra i due ambienti». Coraggiosi, hanno iniziato a scavare. Il lavoro è stato lungo e pericoloso, ogni centimetro guadagnato è stato sudato ma alla fine riescono a creare un passaggio. «Ci sono voluti diversi mesi per scavare il tunnel - raccontano - ma quando siamo riusciti a superare la frana siamo entrati in una caverna delle meraviglie. Sotto il fascio delle nostre luci sono apparsi drappeggi e cortine di cristalli di gesso di vari colori, che subito abbiamo capito quanto siano rari per la loro dimensione eccezionale e per le loro forme aciculari. Ci sono delle particolari concrezioni di gesso e delle rocce corrose da vapori acidi che sembrano ospitare una flora batterica che riteniamo unica tutta da studiare».
Plausi anche dal Comune di Genga: «Siamo lieti che ci siano speleologi che continuano ad esplorare i nostri ambienti - commenta il sindaco Giuseppe Medardoni - conferma l’appeal del nostro territorio e la sua importanza dal punto di visto scientifico». Parere condiviso dal professore Rodolfo Coccioni dell’Università di Urbino, coordinatore del geoparco umbro-marchigiano. «L’Appennino nord-marchigiano - spiega - è un territorio unico nel suo genere. Possiede un patrimonio geologico e geomorfologico senza eguali, speciale per ricchezza, diversità, rarità, interesse scientifico, richiamo estetico e ad alto valore educativo. Insomma una meta per il turismo geo-naturalistico e scientifico mondiale». Come lo conferma l’interesse che la scoperta di Amedeo Grifoni, Antonio Piazza e Luca Pieroni sta riscuotendo. Intanto per questioni di sicurezza ma anche per garantire l’integrità degli ambienti, è stato installato un cancello. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico