Il nodo della fase due: «Ripartiamo lunedì oppure sarà un’ecatombe»

Sospese due aziende su tre, per le associazioni di categoria tempo scaduto
ANCONA  - Prepariamoci a ripartire. Con la curva dei contagi in discesa costante, si apre uno spiraglio nella serrata del lockdown, ma non sarà un’accelerata da...

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ANCONA  - Prepariamoci a ripartire. Con la curva dei contagi in discesa costante, si apre uno spiraglio nella serrata del lockdown, ma non sarà un’accelerata da zero a cento. I motori saranno riavviati in modalità diesel, per non vanificare i risultati fin qui ottenuti. Ma alcuni settori - quello della moda su tutti - rischiano di pagare un prezzo molto salato se non si tornerà a produrre in tempi brevi, con aziende ormai al limite che dovranno alzare bandiera bianca. Ed il commercio si troverà a dover affrontare un mondo completamente nuovo quando negozi, bar e ristoranti rialzeranno le saracinesche.



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«Nella provincia di Ancona – traccia il quadro Marco Pierpaoli, segretario generale di Confartigianato Ancona e Pesaro – il 65% delle imprese sono sospese: la chiusura forzata dovuta alla tutela della salute sta compromettendo il tessuto economico. Chiediamo la pianificazione di una ripartenza, adottando le misure necessarie per garantire la sicurezza. Tutti gli imprenditori hanno evidenziato la volontà di ricominciare a produrre, richiesta che nel settore della moda è ancora più forte». Pierpaoli lancia la proposta di una «ripartenza scaglionata per territori, riaprendo prima nelle province dove non ci sono picchi di contagio». La forbice delle aziende che potrebbero non farcela a rialzare la saracinesca si stima possa assestarsi sul 10-20%, e la percentuale aumenterebbe con il prolungarsi del lockdown. 

«Edilizia e moda devono ripartire subito, già da lunedì – fissa la data Massimiliano Santini, direttore provinciale Cna Ancona – e c’è stata un’apertura politica sul riavvio dei piccoli cantieri. Nel tessile e nella moda, alcune aziende si sono riconvertite per produrre mascherine, a partire dalla Lardini, e così stanno sopravvivendo. Ma tra i nostri associati c’è anche chi aspetta i 600 euro dal governo per mangiare, quelle micro imprese che vivono alla giornata e che potrebbero non riaprire più». Per evitare un’ecatombe economica si sta ragionando a livello nazionale su «una graduale ripartenza non più basata sull’essenzialità definita dai codici Ateco, ma sull’effettivo rispetto dei protocolli di sicurezza da parte delle aziende – fa sapere Pierluigi Bocchini, vice presidente Confindustria Marche Nord, delegato per Ancona –. Sono circa un 20% le aziende al momento aperte oltre a quelle della lista Ateco». Primo a chiudere ed ultimo a riaprire, c’è poi il settore del commercio in profondo rosso. «Per l’abbigliamento, le perdite sono del 100%, mentre per bar e ristoranti sono del 70%, recuperando una parte solo grazie alle delivery – osserva il direttore di Confcommercio Marche Centrali, Massimiliano Polacco –. Nel settore moda la situazione è tragica e si sta ragionando su aiuti a fondo perduto». 


Tengono invece le attività alimentari, mai chiuse perché essenziali: «qui, il fatturato è aumentato fino ad un +25%, soprattutto nei negozi di prossimità». Ma più che sul lockdown, Polacco pone l’accento sulle difficoltà della riapertura: «I commercianti, a maggio, si troveranno di fronte ad un mondo nuovo, con protocolli di accesso complicati da rispettare e clienti da far tornare. I negozi ed i ristoranti non sono come le fabbriche, dove basta far ripartire la produzione». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico