ANCONA - I tavoli sono pronti. Non sono ancora apparecchiati, chiaro. Ma la planimetria è a posto. Sono stati collocati uno a due metri di distanza dall’altro, in...
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Al ristorante “Il Giardino” chef e camerieri si sono improvvisati geometri: si sono rimboccati le maniche e, metro in mano, hanno calcolato le distanze con millimetrica precisione. «Tocca fare così, altrimenti non ne usciamo», sospira Antonio Ambrosio, il padrone di casa, preoccupato più per i suoi dipendenti che per se stesso. «Qui ci sono ragazzi che hanno bisogno di portare lo stipendio a casa e se abbiamo organizzato l’asporto l’ho fatto solo per loro», confessa il ristoratore, mentre maneggia un aggeggio di legno che a vederlo sembra uscito da una falegnameria. Che ci fa con quello? «Ce lo siamo inventati noi per regolare le dimensioni dei tavoli a seconda delle esigenze», rivela Ambrosio.
In parole povere, è una prolunga che si fissa sotto i tavoli più piccoli e si estrae per farli diventare lunghi un metro. L’emergenza aguzza l’ingegno. «Il problema è se cambiano di nuovo le disposizioni e aumentano ulteriormente gli spazi. A quel punto la soluzione sarebbe semplice: chiudere tutto e tornare quando il virus sarà scomparso». Alzi la mano chi, tra gli operatori del food, non è stato attraversato dalla stessa idea: in fondo, tra leggi, protocolli e annunci di vario genere, le certezze sono poche e la confusione ancora tanta. Eppure mancano 48 ore al giorno X, quando ristoranti, bar, pizzerie e locali notturni potranno riprendere l’attività a pieno regime. «Prenotazioni per lunedì? No, non ne abbiamo ancora - fa Ambrosio -. È troppo presto, se Ceriscioli non dà l’ok ufficiale non posso prendere nessuna iniziativa. Mi è già bastato tutto il cibo che ho dovuto buttare via durante la chiusura obbligata. Noi lunedì apriremo solo se ci dicono con chiarezza come fare. Al momento, abbiamo dovuto ridurre di un quinto la capienza, passando da 300 posti a 60».
«E poi - continua Ambrosio - mi piacerebbe capire se all’esterno le persone possono stare più vicine e se i componenti dello stesso nucleo familiare possono stare tutti in un tavolo. Ma se dovessero cambiare di nuovo le misure, sarebbe un disastro». Un danno aggiuntivo a quello già patito dagli imprenditori del settore. Quando si dice che il virus ha messo con le spalle al muro intere categorie produttive, settore della ristorazione ovviamente in primissima fila. Ambrosio ha fatto un rapido calcolo: tra i mancati introiti durante il lungo lockdown e la riapertura a scartamento ridotto «perderò 105mila euro di incassi al mese. Si rende conto di cosa significa?». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico