Ancona, operai sfruttati al cantiere navale: «Meglio che andare a vendere rose». Due bengalesi a processo per caporalato

Galassi (Fiom): «Dovevano restituire parte della busta paga»

Lo stabilimento della Fincantieri
ANCONA «Un giorno sono arrivati da noi alcuni operai del Bangladesh: dicevano di essere vittime di caporalato. Il titolare della ditta in sub appalto per cui stavano...

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ANCONA «Un giorno sono arrivati da noi alcuni operai del Bangladesh: dicevano di essere vittime di caporalato. Il titolare della ditta in sub appalto per cui stavano lavorando chiedeva loro indietro una parte dei soldi della busta paga. E li ricattava: se non avessero continuato a pagare, non gli avrebbe rinnovato il contratto». Sono gli stralci della testimonianza resa ieri da Sara Galassi, segretaria generale Fiom-Cgil, il sindacato che nel 2018 aveva presentato un esposto per segnalare alcune anomalie all’interno dello stabilimento della Fincantieri. Nel mirino c’era una ditta in sub appalto che si occupava prevalentemente della coibentazione degli scafi navali. 

La testimonianza

La Galassi è stata ascoltata nell’ambito del processo che vede sotto accusa due bengalesi, difesi dall’avvocato Massimo Canonico, per sfruttamento del lavoro. Per la procura avrebbero incassato i soldi dai loro connazionali, costretti a togliere «dai 500 ai 700 euro» dalla loro busta paga.

Contanti che poi, sempre secondo la tesi accusatoria del pm Irene Bilotta, avrebbero girato al titolare della loro ditta, Quest’ultimo e altre tre persone, sempre accusate di sfruttamento del lavoro, sono state assolte (il fatto non sussiste) lo scorso aprile: procedevano con il rito abbreviato. I due bengalesi, che avrebbero avuto il compito di riscuotere le somme, hanno invece proceduto con l’ordinario. E ieri si è entrati nel vivo del processo, con l’audizione dei primi testimoni.

Le somme corrisposte

Almeno tre le vittime conteggiate dalla procura. Nel giro di due anni, dal 2017 al 2018, uno avrebbe versato 6.800 euro, un altro 10.700 euro e un altro ancora 11.200 euro. È stata proprio la Galassi a definire ieri le condizioni degli operai. «La ditta per cui lavoravano - ha detto la segretaria Fiom - non faceva contratti a tempo indeterminato per tenere i lavoratori sotto ricatto. Dovevano versare quindi tra i 500 e i 700 euro mensili per continuare a lavoro e farsi rinnovare il contratto».

Sulle busta paga: «C’erano quelle forfettarie, o globali, che noi della Fiom denunciamo da anni per alcune ditte in sub appalto: non venivano conteggiate ferie, malattie o straordinari». I sindacalisti avevano consigliato ai bengalesi di non dare indietro una parte dello stipendio. «Ma ci dicevano che era meglio togliersi 500 euro che andare a vendere le rose nei ristoranti» ha detto la Galassi.

L’assoluzione per i quattro che hanno scelto l’abbreviato è arrivata perché i gup ha considerato la mancanza dello stato di bisogno dei lavoratori, cioè una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitarne la volontà e indurre loro ad accettare condizioni particolarmente svantaggio. Il processo è stato aggiornato.

 

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Corriere Adriatico