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ANCONA - Il Parco del Cardeto, nove mesi dopo. L’ultima volta che ce n’eravamo occupati, a marzo, l’avevamo fatto per denunciare lo stato di completo abbandono di questo polmone verde affacciato sul mare. Una situazione indecorosa, tra vandali e degrado, che non è poi così diversa da quella attuale. Per accorgersene basta entrare dall’ingresso della caserma Villarey, l’attuale sede della Facoltà di Economia.
Si viene subito accolti dal cancello che grida vendetta: la patina lucida di un tempo ha lasciato il posto ad un crogiolo di segni e graffi. Colla di scotch di cartelli appesi e rimossi chissà quanto tempo fa, i resti evidenti di una targa che è stata strappata senza la premura, terminate le operazioni, di ripulire.
I teppisti
La colpa di questa incuria, sia chiaro, è condivisa anche con i frequentatori del Cardeto.
Cumulo di macerie
Prima al cimitero ebreo, oggi ridotto ad un campo talmente rigoglioso che ci si cammina a fatica e ad un cumulo di macerie che un tempo erano chiaramente delle tombe. Poi c’è il belvedere che porta il nome del poeta Pablo Neruda. Il Comune ci aveva rimesso le mani qualche anno fa ma il degrado è tornato, tra scritte e assi di legno saltate dal pavimento. Si arriva quindi in cima, dove un cartello ci ricorda che siamo a quota 104 metri. Abbiamo già passato altri ruderi con tetti scoperchiati e minacciosi cartelli che avvertono del rischio di crolli. Ed eccoci al Faro ottocentesco.
Sempre il Comune, nei mesi scorsi, si era detto interessato a rilevarlo dal Demanio per riaprirlo al pubblico. Per ora resta ancora uno dei tanti manufatti abbandonati del Cardeto. Il basamento è stato insozzato dai graffiti così come alcuni innamorati si sono divertiti ad attaccare dei lucchetti alle inferriate come fossimo a Ponte Milvio o sul Ponte Vecchio di Firenze.
Guardando verso il mare, lo spettacolo è mozzafiato. Così come mozza il fiato - stavolta in senso letterale - l’olezzo che arriva dai vicini bagni pubblici. Basta avvicinarsi a quello delle donne, chiuso a chiave, per capire che è meglio allontanarsi. Per andare dove? Magari sul parapetto davanti al faro nuovo. Attenti, però, a non avvicinarsi troppo ai muretti pericolanti. Non vale nemmeno la pena di rischiare: la bellezza della natura è rovinata dalla vista di ettari di campi abbandonati all’incuria e fabbricati distrutti. Meglio consolarsi con lo spettacolo del Porto e di San Ciriaco. Magari seduti in terra, perché di panchine non ce ne sono. Pensando, rivolti all’orizzonte come Simba e Mufasa de “Il re leone”: «Ma quanto sarebbe bello il Cardeto se solo qualcuno se ne prendesse davvero cura?».
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