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ANCONA - «Sono io l’uomo, comando io. Tu stai zitta, se no sai come va a finire: parli quando te lo dico io, non decidi tu, sei falsa». E poi giù minacce e botte, come quelle ricevute al terzo mese di gravidanza, schiaffoni così forti da farla cadere sul pavimento. O come quella volta in cui, passeggiando con il bimbo sul lungomare di Marzocca, l’ha aggredita, immobilizzata a terra e di nuovo colpita al volto (5 giorni di prognosi). Era il luglio 2020. «Ti giuro sui miei, sulla razza mia, su mio padre: se ti ritrovo qui quando torno, ti fracasso di botte», l’avrebbe minacciata al culmine di un’altra lite, qualche mese dopo.
L’incubo della 26enne senigalliese, assistita dall’avv.
Lui, 24enne, ieri è stato rinviato a giudizio dal gip per maltrattamenti, lesioni e minacce insieme ai genitori 44enni, questi ultimi accusati di stalking: la chiamavano “gaggia”, dal termine “gagé” che in lingua romanì identifica in modo dispregiativo chi non appartiene alla dimensione rom. I “suoceri” e il loro figlio (i primi difesi dall’avv. Matteo Bettin, il giovane dall’avv. Stefano Gerunda) pretendevano che la 26enne si adeguasse allo stile di vita rom. Erano i nonni paterni a decidere come crescere il bambino, che ora ha due anni: secondo l’accusa, le consentivano di avvicinarsi al bimbo solo per allattarlo. Poi la allontanavano e le impedivano anche di consultare un pediatra perché loro stessi intendevano provvedere al piccolo anche per problemi di salute.
Non solo: nel corso del tempo avrebbero molestato e minacciato la ragazza, costretta prima a rifugiarsi dalla madre e poi dai nonni, quindi in una casa protetta, dopo aver sporto denuncia anche nei confronti del compagno che le rendeva la vita impossibile, controllando quotidianamente il suo cellulare e i social a cui è iscritta. Accecato dalla gelosia, le vietava di comunicare con altri uomini.
«Mi hai rovinato la vita, è colpa tua se non lego con mio figlio: non ti sta bene niente della mia famiglia», la accusava. E poi botte e minacce, mentre i genitori si appostavano davanti all’abitazione della madre e dei nonni della 26enne per convincerla a tornare con il figlio, a colpi di citofono e clacson. Nei confronti della famiglia rom è stato emesso un divieto di avvicinamento alla giovane mamma e al figlio. Lei si è costituita parte civile, chiedendo un risarcimento di 50mila euro. Per il compagno e i “suoceri” il processo comincerà il prossimo 14 ottobre.
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Corriere Adriatico