Strage di Corinaldo, fine delle parole: resa dei conti per la banda dello spray. Sentenza fissata al 30 luglio

Strage di Corinaldo, fine delle parole: resa dei conti per la banda dello spray. Sentenza fissata al 30 luglio
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ANCONA -  «La presenza in discoteca non è indice di responsabilità e correità. Il fatto che si siano trovati in uno stesso ambiente non deve portare necessariamente a dire che tutti gli imputati concorrevano tra di loro». Sono i tratti della linea difensiva adottata da Alessandro Cristofori, avvocato di Badr Amouiyah, uno dei sei ragazzi della Bassa Modenese finito a processo per la strage avvenuta alla Lanterna Azzurra di Corinaldo, la notte tra il 7 e l’8 dicembre 2018. Quella di Cristofori è stata l’ultima arringa che si è tenuta davanti al gup Paola Moscaroli, nell’ambito del processo in cui si procede con il rito abbreviato. Giovedì prossimo, dopo le eventuali repliche delle parti, è prevista la sentenza. 


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La scorsa udienza, si erano difesi, tramite i loro avvocati, gli altri cinque imputati: Ugo Di Puorto, Raffaele Mormone, Andrea Cavallari, Moez Akari e Souhaib Haddada. Tutti hanno negato l’appartenenza a una banda, rigettando la contestazione dell’associazione a delinquere. L’arrivo a Corinaldo di tutti e sei i ragazzi, presumibilmente per fare man bassa di catenine d’oro? Una casualità. E tutti hanno scansato l’accusa di aver utilizzato la bomboletta di spray al peperoncino o di essere a conoscenza della presenza del flacone all’interno del locale. Anzi, due imputati (Haddada e Di Puorto) hanno gettato ombre proprio su Amouiyah, ipotizzando che fosse stato l’italo-marocchino a svuotare la sostanza urticante all’interno della Lanterna Azzurra. 


Tesi sempre smentita dal diretto interessato, anche perché sul flacone – secondo l’accusa - è stata trovata una sola traccia di dna: quella di Di Puorto. «Che possa aver utilizzato lo spray è un’ipotesi infondata sotto il profilo probatorio», ha detto l’avvocato Cristofori. Si sarebbe arrivati alla «compromissione» della posizione di Amouiyah «per una serie di voci. In questo processo siamo pieni di sentito dire. Se andiamo nel campo delle illazioni non finiamo mai». Un passaparola privo di fondamento e alimentato da alcuni imputati a gettare sospetti sull’italo-marocchino per cui la procura ha chiesto una condanna a 16 anni e un 1 mese di reclusione, la pena meno severa di tutto il gruppo. Per la difesa, non ci sarebbero evidenze nemmeno per «parlare di reati associativi. Non c’è prova del coinvolgimento di Badr». In definitiva, «la prospettazione dei gruppi collegati tra loro è fallace». Le pene richieste ammontano in totale a 102 anni e 9 mesi. A rischiare di più sono Di Puorto e Mormone: per entrambi chiesti 18 anni. A seguire: 17 anni e 3 mesi per Cavallari, 16 anni e 10 mesi per Akari, 16 anni e 7 mesi per Haddada.  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico