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ANCONA - Sedici anni e 8 mesi di reclusione. La sentenza nei confronti di Claudio Pinti è diventata definitiva nel dicembre del 2021, quando la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla difesa. Due le accuse che pendevano sul 41enne, ex autotrasportatore jesino: omicidio volontario e lesioni personali gravissime. Quest’ultimo reato è riferibile alla vicenda di Romina Scaloni, che ha denunciato Pinti non appena scoperto di aver contratto l’Hiv.
L'indagine
L’attività di indagine aveva permesso alla Squadra Mobile di Ancona di arrestare Pinti e portarlo in carcere con l’accusa di aver nascosto la malattia e, quindi, aver contagiato la Scaloni.
Salvo un brevissimo periodo trascorso ai domiciliari, il 41enne si trova recluso in carcere dall’arresto fatto scattare dalla polizia. Era il giugno del 2018. Attualmente si trova a Rebibbia, penitenziario che ha una sezione specifica per i malati di Hiv.
«La sua situazione clinica è molto grave» dice il suo difensore, l’avvocato romano Massimo Rao Camemi. «Ma si sta curando e seguendo le terapie prescritte» aggiunge. «Vede come ingiusta la condanna nei confronti dell’ex compagna. La Cassazione ha abbracciato sì la tesi di un contagio volontario, ma secondo i giudici non avrebbe impedito a Giovanna di curarsi». Su Romina: «È dispiaciuto per non averle detto della sua condizione di salute, ma il racconto di come sono andati i fatti è diverso da quello proposto dalla Scaloni». Con una condanna che sfiora i 17 anni, sono ancora lontani i tempi per poter chiedere benefici e alleggerire il regime carcerario.
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Corriere Adriatico