La moglie abortisce per le botte Condannato il marito violento

La moglie abortisce per le botte Condannato il marito violento
ANCONA - Era tornato a casa ubriaco e si era accanito contro la moglie. Botte su botte, fino – dice la procura – a farle perdere il bambino che lei teneva in grembo e...

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ANCONA - Era tornato a casa ubriaco e si era accanito contro la moglie. Botte su botte, fino – dice la procura – a farle perdere il bambino che lei teneva in grembo e sperava di crescere con l’uomo che aveva sposato. Lui, un peruviano di 38 anni, non solo è finito in carcere dopo quella notte di follia, ma è anche finito sul banco degli imputati con la duplice accusa di procurato aborto e maltrattamenti in famiglia. La condanna è arrivata pochi giorni fa: 3 anni e 4 mesi di reclusione stabiliti dal gup, considerando il rito abbreviato scelto dalla difesa, rappresentata dai legali Marco Tacconi e Mosè Tinti. I due, secondo cui non ci sarebbe prova certa del legame tra le presunte lesioni e la perdita del bambino, hanno già espresso l’intenzione di ricorrere in appello.


Nella sentenza, il giudice ha calcolato, per quanto riguarda i maltrattamenti, la continuazione del reato in riferimento all’episodio di violenza per il quale lo straniero era stato arrestato e poi condannato. Tutto era accaduto nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 2015, nell’appartamento che i due ormai ex coniugi dividevano al Piano. La violenza dell’uomo si era scatenata al ritorno da una serata alcoolica passata con gli amici. Quando aveva varcato la soglia di casa, per la moglie era iniziato l’inferno. Per l’accusa sarebbero partiti schiaffi, pugni e calcioni. Sarebbe stata una caduta, conseguenza di una lesione, a provocarle la perdita del bambino che teneva in grembo da circa 3 mesi. Le percosse si erano interrotte quando la donna riuscita a correre verso il cellulare per avvertire la polizia. Quando hanno fatto irruzione in casa, le Volanti avevano trovato la donna ferita e l’uomo in possesso di un coltello lungo 19 centimetri. Di lì, l’arresto e il processo per maltrattamenti in famiglia, conclusosi con una condanna. Il reato di procurato aborto è stato contestato solo successivamente. Per fare chiarezza, in udienza è stato interpellato un consulente. La sua perizia però, secondo la difesa, avrebbe lasciato dei dubbi sul rapporto tra la morte del feto e le lesioni. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico