Minacciato di morte prima e dopo le elezioni: finiscono a processo i rivali del consigliere bengalese

Minacciato di morte prima e dopo le elezioni: finiscono a processo i rivali del consigliere bengalese
ANCONA  - Pretendevano che non si candidasse a consigliere straniero in occasione delle ultime elezioni amministrative del 2018, quando Valeria Mancinelli fu eletta sindaco....

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ANCONA  - Pretendevano che non si candidasse a consigliere straniero in occasione delle ultime elezioni amministrative del 2018, quando Valeria Mancinelli fu eletta sindaco. Minacce, aggressioni, intimidazioni: così i 6 rivali, suoi connazionali, speravano di convincerlo a fare un passo indietro. E invece Ahmed Shohel, 36 anni, originario del Bangladesh, quelle elezioni le ha vinte. Ora attende che anche il tribunale gli dia ragione. 

 


Dopo essersi opposto a una richiesta di archiviazione del pm, ha ottenuto che il fascicolo venisse riaperto dalla procura. E ieri i 6 bengalesi, tra i 35 e i 51 anni, difesi dall’avvocato Marco Chiarugi, sono stati rinviati a giudizio al marzo 2023 per aver tentato di impedirgli l’esercizio di un diritto politico e uno di loro per minacce perché nel giugno 2018, rimproverandogli di aver chiamato la polizia, gli avrebbe promesso di picchiarlo «se non te la finisci e non ascolti noi». La sua “colpa” era quella di essersi candidato come consigliere straniero aggiunto per rappresentare in Comune la nutrita comunità bengalese presente in città, con la lista “Pace nel mondo”.

La sua decisione non era vista di buon occhio da un gruppo di connazionali che per due anni, dal maggio 2018 in poi, dunque già prima delle elezioni amministrative, avrebbero fatto di tutto per convincerlo a revocare la candidatura e, in seguito, a ritirare le denunce presentate alla polizia, arrivando a minacciare di morte lui, la moglie e i 2 figli. Ma Shohel, dipendente di un forno al Piano e assistito dall’avvocato Giacomo Curzi, dice di non aver mai ceduto alle pressioni né alle botte che avrebbe ricevuto in un paio di occasioni.

«Se non molli la candidatura facciamo male a te e alla tua famiglia», gli avrebbe urlato il branco pochi giorni prima della tornata elettorale, mentre passeggiava in corso Carlo Alberto con la figlioletta. All’uscita dal seggio, in due l’avrebbero afferrato per il collo, nel tentativo di impedirgli di votare. Nei mesi seguenti, una serie di episodi inquietanti: telefonate anonime nel cuore della notte, qualcuno che si attacca al citofono e scappa, insulti, parolacce, intimidazioni. Una volta sarebbe stato accerchiato da 10 connazionali e preso a pugni. Un incubo durato due anni. Ma ora i suoi nemici andranno a processo. 

 

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Corriere Adriatico