Segregata in casa e costretta a rapporti quando era incinta: «Zitta, sei una donna». Sette anni al marito padrone

Il marito-padrone è stato condannato a 7 anni
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ANCONA - Costretta a stare in casa, a tagliare i contatti con i suoi familiari e a subire i soprusi del marito, tra botte, minacce e insulti del tipo: «Tu sei una donna, sei stupida e non puoi parlare. Qui comando io». È il quadro vessatorio denunciato agli inquirenti da una donna jesina che ha portato l’ex coniuge, di origine tunisina, sul banco degli imputati con la duplice accusa di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale

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L’uomo, 33 anni, è stato condannato dal collegio penale a scontare sette anni di reclusione per entrambi i capi d’imputazione. Dovrà risarcire la vittima, più giovane di lui di dieci anni e costituita parte civile con l’avvocato Laura Versace, con 30mila euro. I fatti si sono svolti a Jesi, dove viveva la coppia assieme alla loro figlioletta, tra il 2014 e il 2017. Il procedimento ha avuto un iter lungo perché inizialmente la procura aveva chiesto l’archiviazione per il 33enne, in un primo momento indagato per stalking. C’era stata opposizione da parte dell’avvocato della vittima e l’avvio di nuove indagini che hanno poi portato al dibattimento incardinato per nuovi reati.

Stando a quanto emerso, i problemi di coppia sarebbero iniziati subito dopo il matrimonio nel paese d’origine di lui, in Tunisia. Lei, che al momento dell’unione era poco più di una ragazzina, si lamentava di come il marito la trascurasse, offrendo attenzioni a un’altra donna. La situazione sarebbe peggiorata con la gravidanza della vittima. «Sei una stupida, incapace, imbecille, non vali niente. Non puoi parlare. Sei una donna, qui comando io» avrebbe detto l’imputato. A fine 2016, la vittima avrebbe sorpreso il marito mentre era intento a guardare filmini pornografici sul telefonino. Nelle vicinanze, c’era la figlioletta nata da pochi mesi.

Era nata una discussione e lei ha raccontato di aver ricevuto in quell’occasione uno schiaffo in faccia e la frase: «Tanto faccio come mi pare, mi hai stancato». Stando alla denuncia presentata dalla donna, il marito le avrebbe anche impedito di uscire di casa e intrattenere rapporti con i suoi familiari. In varie occasioni, sarebbe stata segretata all’interno dell’appartamento chiuso appositamente a chiave. La procura contestava all’uomo episodi di violenza sessuale, anche quando la vittima era incinta. Nel 2017, la decisione di lei di allontanarsi da casa e sporgere denuncia alla Squadra Mobile di Ancona. I due hanno preso strade diverse dopo il divorzio. 


L’imputato, difeso dall’avvocato Paolo Cognini, ha respinto ogni contestazione: non ci sarebbero mai state violenze. Soprattutto non ci sono testimonianze finalizzate a provare la sussistenza dei reati contestati: è la parola di uno contro quella dell’altra. Inoltre, per quanto riguarda le botte, non ci sono referti medici, tranne che per un’occasione dove la donna aveva riportato lievi lesioni al volto. 

 

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Corriere Adriatico