La patronessa Vanna Vettori: «Con Inge Feltrinelli al bar di Alemagna»

Fiammetta Malpassi, volto noto per tutti coloro che frequentano le giornate del Fai, è una pesarese di adozione. È nata a Roma, ma ha trascorso molte delle sue estati a Serra Sant’Abbondio. «Ero la prima di tre figlie femmine: mio padre avrebbe...
Fiammetta Malpassi, volto noto per tutti coloro che frequentano le giornate del Fai, è una pesarese di adozione. È nata a Roma, ma ha trascorso molte delle sue estati a Serra Sant’Abbondio. «Ero la prima di tre figlie femmine: mio padre avrebbe...
di Lucilla Niccolini
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Domenica 19 Maggio 2024, 04:30 - Ultimo aggiornamento: 11:10

A una Signorina Grandi Firme, si può immaginare che, agli occhi dei coetanei anconetani, assomigliasse Vanna Vettori, quando tornò qui nel ‘68. Lei aveva lasciato la città tanti anni prima, con la famiglia: il padre Marcello era stato chiamato a dirigere il Corriere di Sicilia, a Catania. «Ci arrivai da Roma, dove allora studiavo, collegiale alla Marymount School. La domenica, in libera uscita, andavo a pranzo dal nonno generale, che viveva nella Capitale con la zia Anna, sorella di mia madre Giustina». Nella prestigiosa scuola internazionale, Vanna impara l’inglese. «E il perfetto inchino britannico – ironizza - da fare alla regina».

I libri

Sense of humour, che non ha imparato lì: è innato. E a Catania, dove ha trascorso l’adolescenza, già nel '51 girava in Vespa, quella di “Vacanze Romane”, due anni prima che uscisse il film. «I catanesi, molto scandalizzati, mi chiamavano “la continentale”». A Milano, Vanna trova la sua dimensione. Vi si trasferisce con la famiglia, quando Cino Del Duca fonda Il Giorno, assieme a Mattei, e chiede a Marcello Vettori di “salire a bordo”. Tre marchigiani lungimiranti all'ombra della Madunina. «Avevo vent'anni, tutta la vita davanti. Mi iscrissi a un corso di crocerossina, al Fatebenefratelli. Però all'epoca avevo altri interessi, e un giorno ebbi l'ardire di propormi come commessa a Herr Schwarzwald, un gran signore, coltissimo, il direttore di Milano Libri, in via Verdi, di fianco al teatro alla Scala». La prendono, impara una maniera nuova di vendere libri, in un luogo magico, tra incontri e presentazioni.

Gli incontri

Quando viene a sapere che il proprietario, Guido Giacomini, è disposto a vendere la libreria, Vanna coinvolge due sue amiche, Anna Maria Gregorietti e Laura Maltini Lepetit, per rilevarla. Era il 1962. Tre anni dopo, il marito di Anna Maria, Giovanni Gandini, avrebbe inaugurato uno dei miti tipografici di quegli anni: la rivista Linus. «Il primo numero, il 2 aprile 1965, fu presentato da Umberto Eco, Elio Vittorini, Oreste Del Buono e Vittorio Spinazzola». A Milano si lavora tanto. «Dalle 8,30 di mattina all'ora di cena; un tourbillon di scrittori, critici e intellettuali. La Feltrinelli era proprio di fronte a noi. Ogni tanto incrociavamo Inge, freddina, al Gran Bar Alemagna». L'impresa funziona: Milano Libri è un successo. «E a casa di Anna Maria Gandini ho conosciuto il mio Ugo». Di buona famiglia genovese, Ugo Vitale prestava a Milano il servizio di leva. «Ma in divisa io non l'ho mai visto». Si sposano, ad Ancona, dove intanto si erano trasferiti il padre e la madre di Vanna. «Col nostro matrimonio inaugurammo, non ancora terminata la villa, “progettata” da mamma, con i tecnici, in via Baldassari. Poi, con Ugo tornai a Milano, dove, nel '65, è nata Annavì, la primogenita». La svolta, per Vanna, è l'assunzione di Ugo alle assicurazioni Sai, tre anni dopo, nella sede di Senigallia. Un ottimo motivo per tornare nelle Marche. Vanna lascia l'impresa di Milano Libri. Rimpianti? Scaccia un pensiero con la mano, come fosse una mosca: «Non è stato un rientro facile. Ho provato a occuparmi in qualche libreria di Ancona, ma non avevano bisogno di personale». Forse neanche illustrava, ai librai anconetani, l'esperienza milanese, il suo curriculum. O magari l'ha fatto, e nessuno, in provincia, se ne curava. «Ho lavorato per un po' da un antiquario, sotto i portici di piazza Cavour.

L’impegno

Poi, Carla Archibugi, amica da sempre, ritrovata, mi propose di entrare a far parte delle Patronesse del Salesi. Fu allora che mi ricordai che, quand'ero bambina, mia madre, dama di S. Vincenzo, mi faceva distribuire i ramoscelli d'olivo sulla porta della chiesa, la domenica delle Palme. Mi sembrò doveroso, questo nuovo impegno». Da allora, sono passati 37 anni. «È vero che avevo fatto il corso di crocerossina, ma noi patronesse non possiamo fare niente di ciò che spetta a medici e infermieri». Mamma di due bambine – nel frattempo era nata Angelica – cercava di trasmettere ai bambini del Salesi l'affetto materno. «Non è facile, perché ci sono chiare limitazioni, ma quando un bimbo piange, come fai a non prenderlo in braccio, per calmarlo raccontandogli una fiaba?». 

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